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Premio Balzan 1986 per l'oceanografia/climatologia
Discorso di ringraziamento – Roma, 19.11.1986
Signor Presidente,
Membri della Fondazione Balzan,
Illustri ospiti:
È un grande onore per me essere stato prescelto come destinatario di questo eccezionale premio istituito dalla Fondazione Balzan. Ne sono particolarmente grato anche perché, così facendo, avete voluto premiare un’intera vita di lavoro dedicata all’oceanografia e alla climatologia, due discipline che non hanno avuto, sino ad oggi, grande riconoscimento internazionale. E sono felice che questo premio mi venga consegnato a Roma, in questa antichissima città culla della nostra civiltà occidentale e ancor oggi una delle città più affascinanti del mondo.
Mia moglie, i miei figli ed io siamo legati affettivamente all’Italia dal 1948 allorché per la prima volta venimmo in questo meraviglioso Paese. Durante quella visita, nostra figlia — allora dodicenne decise che l’Italia sarebbe stata la sua patria. E alla prima occasione, vi fece ritorno per frequentarvi un anno d’università. A Firenze conobbe il giovane studente di medicina di Assisi che sarebbe divenuto suo marito e il padre dei suoi tre figli. Uno di essi è attualmente Fulbright scholar e studia Diritto Costituzionale italiano all’Università di Perugia.
In passato, la maggior parte degli oceanografi affinava la propria cultura in materie fondamentali come Matematica, Fisica, Chimica, Biologia, Geologia o Ingegneria. Quando conseguii il dottorato all’Università di California nel 1936 dopo cinque anni di specializzazione allo Scripps Institution of Oceanography, ero tra quei pochi la cui laurea avesse diretta attinenza con l’oceanografia. Parte della mia attività di ricerca si era indirizzata all’analisi del meccanismo tampone dell’acqua di mare, ossia il sistema di ioni carbonati e bicarbonati e di biossido di carbonio libero, nonché di quantità minori di ioni di acido borico e altri acidi deboli, che controlla la concentrazione di ioni di idrogeno nel mare. Avevo inoltre studiato, in parte con R.H. Fleming, la solubilità del carbonato di calcio in funzione della temperatura, della salinità e della pressione idrostatica nella subsuperficie e nelle acque profonde dell’oceano.
Questo lavoro si rivelò proficuo oltre vent’anni dopo, quando molti di noi allo Scripps Institution cominciammo a interessarci all’ipotesi — già avanzata da Svante Arrhenius verso la fine del secolo scorso e, in tempi più recenti, da George Callendar e Gilbert Plass — che l’aumento di biossido di carbonio nell’atmosfera fosse conseguenza della combustione di combustibili fossili. Il mio collega Hans Suess dello Scripps Institution aveva ipotizzato che l’insufficienza di carbonio 14 nei cerchi annuali formatisi prima degli esperimenti nucleari effettuati tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta fosse spiegabile con l’assenza di C14 nel carbonio da combustibili fossili che era andato ad aggiungersi all’atmosfera. Tutti questi studiosi erano perplessi per la loro convinzione che quasi tutto il biossido di carbonio prodotto da combustione di combustibile fossile dovesse essere assorbito dal mare in quanto gli oceani contengono 60 volte il biossido di carbonio contenuto nell’atmosfera. Fui in grado di dimostrare che, a causa del particolare meccanismo tampone dell’acqua di mare, circa la metà del biossido di carbonio da combustione fossile permaneva nell’atmosfera, dove avrebbe potuto avere profondi effetti climatici nonostante la grande sproporzione fra CO2 atmosferico e CO2 oceanico.
Suess ed io pubblicammo nel 1957 uno studio sul probabile aumento secolare del biossido di carbonio nell’atmosfera, nel quale affermavamo che l’umanità stava conducendo, sia pure inconsapevolmente, un grande esperimento geofisico. Quest’affermazione sarebbe stata ampiamente ripresa negli anni seguenti.
Nel 1957 era appena iniziato l’Anno Geofisico Internazionale: fu deciso così, allo scopo di cominciare a comprendere il «grande esperimento», che uno dei progetti previsti in quel contesto riguardasse le esatte misurazioni del CO2 atmosferico, peraltro mai effettuate in precedenza. Chiamai un giovane laureato impegnato in un corso di specializzazione alla CalTech, Charles David Keeling, al quale affidai il compito di effettuare continue misurazioni del CO2 sul Mauna Loa, alle Isole Hawaii, e al Polo Sud, con una precisione elevatissima di qualche decimo di parte per milione. Le misurazioni che lui continuò ad effettuare hanno dimostrato che, nel corso di 28 anni, il contenuto di biossido di carbonio nell’atmosfera è aumentato di quasi il 25 per cento. La «curva Keeling» di concentrazione di CO2 atmosferico a Mauna Loa, tracciata nel tempo, rappresenta probabilmente la più famosa serie cronologica di misurazioni ambientali mai effettuata. Da essa possiamo dedurre che la percentuale di biossido di carbonio atmosferico raddoppierà, rispetto ai valori del XIX secolo, verso il 2055.
I modelli generali di circolazione dell’atmosfera, costruiti da Syukuro Manabe e dai suoi colleghi del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory di Princeton, New Jersey, indicano che un raddoppio del biossido di carbonio atmosferico potrebbe far aumentare le temperature atmosferiche globali in ragione di 1,5-4,5°C, con un incremento ancor più sensibile alle maggiori latitudini. Un simile aumento segnerebbe una modificazione climatica senza precedenti in rapporto alle condizioni avutesi negli ultimi diecimila anni.
A partire dal 1977 si è capito che il biossido di carbonio non è il solo «gas ad effetto serra» la cui concentrazione nell’atmosfera inferiore è in aumento. Ve ne sono altri simili, fra i quali il metano, il protossido di azoto, i «freon» e l’ozono troposferico, e si ritiene che un «raddoppio equivalente» di CO2 dovrebbe verificarsi verso l’anno 2030, ossia a meno di 45 anni da oggi. Il «grande esperimento geofisico» di Suess e di chi Vi parla subisce una notevole accelerazione proprio in conseguenza dell’intervento umano.
In tutta la mia carriera di oceanografo ho studiato molti aspetti delle scienze marine: misurando il flusso del calore proveniente dall’interno della terra attraverso il fondo marino, in collaborazione con Sir Edward Bullard e Arthur Maxwell; organizzando, guidando e allestendo importanti spedizioni geologiche e geofisiche negli oceani per studiare la terra sotto i mari, durante le quali le navi dello Scripps Institution hanno percorso diversi milioni di miglia; contribuendo al raggiungimento di più stretti accordi di cooperazione internazionale in materia di oceanografia attraverso l’organizzazione dello Scientific Committee on Oceanic Rcsearch e della Tntergovernmental Oceanographic Commission dell’UNESCO. Ma i miei studi più lunghi e continuativi si sono concentrati sul biossido di carbonio oceanico e atmosferico. Tuttavia, è certo che non vivrò abbastanza per vedere gli effetti completi di questo «grande esperimento».
Consentitemi ancora, Signore e Signori, di esprimere il mio profondo compiacimento, anche a nome dei miei familiari e amici, per il grande onore che avete voluto riservarmi. Prima di concludere, desidero anche esternare la mia sincera gratitudine agli scienziati che maggiormente hanno infinito sulla mia carriera: Harald Sverdrup, il grande oceanografo norvegese; Walter Munk, dello Scripps Institution of Oceanography, amico e collega da quasi cinquant’anni; Alfred Woodford, professore di geologia al Pomona College, colui che per primo mi ha introdotto nel mondo della scienza.