USA
Balzan Preis 1995 für Materialwissenschaften
Interview mit Alan J. Heeger 19.03.2007 (italienisch)
Quali sono i vantaggi delle sue scoperte, ovvero il passaggio dal silicio ai polimeri semiconduttori, per la vita quotidiana?
Economici innanzi tutto. Le celle al silicio funzionano bene: le ho nella mia casa in California. Quando alla mattina sorge il sole l’elettrometro va indietro, questo vuol dire che il costo dell’energia è pari a zero; il problema è, invece, quello dell’impianto e dell’installazione, che equivale a una Mercedes classe S. Noi stiamo lavorando appunto alla riduzione di questi costi, con produzione industriale di pellicole con procedimento “roll to roll”. Contiamo di arrivare a ridurli di dieci volte.
Il Premio Eni Italgas che ha ricevuto oggi è l’ultimo di una serie di riconoscimenti che vedono nel Balzan 1995 per la scienza dei nuovi materiali non biologici e nel Nobel 2000 per la chimica le pietre miliari della sua attività di scienziato. Come si è evoluta la sua ricerca in questi dodici anni? E quali sono le sue ultime conquiste?
Come saprà, le scoperte originali che aprirono il campo dei semiconduttori e dei polimeri non metallici sono state fatte trent’anni fa. Il Premio Balzan nel 1995 fu un importante riconoscimento del mio lavoro, il primo premio di prestigio, e ne fui profondamente onorato. Nel 2000 il Premio Nobel fu una fantastica esperienza e in qualche modo mi ha dato l’opportunità di dare inizio e pensare a cose nuove. Così, dopo il 2000, incominciai a compiere un certo lavoro sulla biofisica e sui biosensori, cosa che continuo peraltro a fare. Intorno alla fine degli anni ’90, dopo il Premio Balzan, iniziammo il lavoro sulle celle solari. Al principio fu una scoperta fondamentale sulla reazione ultraveloce di transfer dell’elettrone: illuminare il polimero semiconduttore, che passa a uno stato di eccitazione, da cui si ha una reazione ultraveloce di transfer dell’elettrone, che provoca la separazione delle cariche. Ero contentissimo, perché è piuttosto simile al primo passaggio della fotosintesi. Così ci venne l’idea di produrre celle solari efficienti. In seguito la questione fu come fare uscire cariche separate, così abbiamo dovuto lavorarci, con buon successo, in modo da sviluppare una scienza dei nuovi materiali per poter risolvere il problema. Nel 2000 fondammo una società per cercare di realizzare queste celle solari a polimeri – le prime prove di stampaggio hanno avuto successo. Quindi non vediamo l’ora di produrle, a cominciare dal 2008, e vederle sui tetti delle case, forse nel 2010.
È un periodo stimolante della mia vita, perché sto vedendo la ricerca che compii trent’anni fa raggiungere sempre nuove scoperte, che ci daranno una possibilità di cambiare davvero il mondo, nel senso della produzione di energia.
Infatti, nel suo breve curriculum vitae presente nel sito della University of California Santa Barbara si legge: “il professor Heeger e i suoi colleghi sono ottimisti sul fatto che il pubblico vedrà lo sfruttamento su larga scala dell’energia solare utilizzando le celle solari a polimeri nei prossimi cinque anni”. Lei rappresenta allora il volto ottimistico della scienza.
Lo scienziato deve essere ottimista. Lo scienziato scopre cose nuove: è una cosa entusiasmante, e quindi intrinsecamente ottimistica. Gli scienziati si assumono rischi nell’apprendere le cose e rivendicano di capirle… è una vita meravigliosa!
Le sue ricerche sono collegate in qualche modo con quelle di Natta e Ziegler?
Non direttamente. Natta e Ziegler hanno realizzato un catalizzatore, tanto più importante oggi nella produzione industriale su larga scala della plastica. Quei catalizzatori non sono utilizzati, almeno finora, per quanto ne sappia io, per la sintesi dei polimeri elettronici. Ma non c’è dubbio che essi hanno la fama che meritano; il loro lavoro è stato importantissimo e la plastica dei nostri giorni deriva dalle loro scoperte.
Ho fatto questa domanda perché Giulio Natta è stato il primo scienziato, in Italia, a dimostrare che la scienza, e in particolare la chimica, può essere applicata all’industria e portare benefici alla vita di tutti i giorni. Lei sta seguendo lo stesso sentiero…
Sì. Natta ha creato una grande industria in Italia; non c’è dubbio che egli sia stato importantissimo non solo per la scienza, ma per l’economia di questo paese. Io mi sento bene, lavoro sodo, amo quello che faccio, mi piace proprio l’atto di trasferire la scienza nella tecnologia e nei prodotti. Per questo sono speranzoso che, nei miei prossimi anni, potrò vedere le celle solari a polimeri diventare una realtà.
Lo speriamo tutti. Lei vive in USA, è stato premiato in Europa, conosce molto bene l’estremo Oriente, perché parte dei suoi studi si svolgono in Corea del Sud e ha anche collaborazioni a Pechino: quali sono le differenze di approccio alla chimica applicata in queste tre grandi aree?
È una domanda difficile. Per quanto riguarda le università penso che Europa e Stati Uniti siano più avanzati nel portare la ricerca scientifica fino alla produzione perché in Asia non c’è ancora una tradizione in questo senso. In Giappone, per esempio, era praticamente proibito ai professori di creare un’azienda o di lavorare come consulenti. Oggi non più, sta cambiando, ma dieci anni fa era così. Dunque questo spirito imprenditoriale che ha portato tanti successi negli Stati Uniti – i venture capital, l’imprenditorialità diffusa, le aziende nate dalle Università, dai professori – è una cosa comune in USA, un po’ meno in Europa, anche se sta cambiando. In fondo è una questione di utilizzo dei capitali. In Usa i fondi per creare le imprese sono facilmente reperibili perché tutto il mondo dei venture capital ha capito che è un modo per creare profitti. In estremo Oriente non è così, oppure in misura minima. In Europa questo sta diventando una realtà, mentre dieci anni fa era quasi impossibile. Così l’America ha aperto la strada, ed è ancora in prima fila nell’attività imprenditoriale. La California è famosa in questo, ma anche nella costa Est si ripone molta importanza oggi nel software e in particolare nelle biotecnologie: sono grosse opportunità.
Sappiamo dunque che lei è ottimista, ma riesce a vedere un futuro per l’Europa e per l’Italia nel suo specifico campo di ricerca?
Fare una previsione è sempre molto difficile. Dipende dal consenso. L’Italia in particolare è molto interessante perché ha disposizione il sole. La Germania sta impiegando enormi risorse nell’energia solare: se uno va in giro per la Germania può vedere molti impianti solari, molte case con celle solari sul tetto; eppure lì c’è relativamente poco sole. Per questo l’Italia ha un’opportunità unica per l’utilizzo dell’energia solare. Mi sembra banale dire che è un’opportunità che dovrebbe diventare una priorità nazionale. L’Italia non ha grandi risorse di petrolio e carbone, quindi quella è una chance per il futuro che dovrebbe essere, secondo il mio punto di vista, perseguita dal governo.
Marcello Foresti
per www.balzan.org