Fotonica come Design – Rome, 18.11.2016 Forum (vidéo + texte – italien)

États-Unis/Italie

Federico Capasso

Prix Balzan 2016 pour la photonique appliquée

Pour ses travaux de pionnier dans le domaine de la conception quantique de nouveaux matériaux ayant des caractères électroniques et optiques spécifiques, ce qui a conduit à la réalisation d’une nouvelle classe fondamentale de lasers, les Quantum Cascade Lasers, les lasers à cascade quantiques ; pour ses contributions majeures concernant la science et la technologie photoniques dans la plasmonique et les métamatériaux.

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Nella mia carriera ho avuto l’opportunita’ di lavorare in campi diversi ,quasi sempre a cavallo di scienza di base e applicazioni, in questo largamento influenzato dai miei ben 27 anni (a partire dal 1976) passati ai leggendari Bell Laboratories, una delle piu’ straordinarie istituzioni nell campo della scienze e dell’ high- tech dove cominciai la mia carriera come giovane ricercatore e la conclusi come Vicepresidente della Divisione di Ricerche fisiche. Anche se il management porta a volte stress e frustrazioni, mi diede una visione a volo d’uccello (bird’s eye view) da un avamposto scientifico di frontiera su affascinanti orizzonti che si stavano appena aprendo e che era complementare alla mia visione di fisico nelle trincee della ricerca. Che esperienza straordinaria essere testimone in tempo reale di grandi sviluppi scientifici e tecnologici, anche se quasi senza eccezione questi vengono riconosciuti come tali tanti anni dopo!
I Bell Labs sono stati una istituzione senza pari nella storia umana in termine di qualita’ e quantita’ di scoperte e invenzioni, che hanno dato un contributo decisivo alla nascita dell’eta’dell’informazione e che collettivamente costituiscono una serie incredibili di contributi nei campi piu’ svariati: fisica, chimica, astrofisica, biofisica, elettronica, fotonica, informatica, matematica e cosi’ via, oltre ai suoi otto Premi Nobel. I segreti del successo dei Bell Labs erano abbastanzi ovvii per un attento osservatore: enfasi sul risolvere problemi importanti piuttosto che su discipline accademiche; liberta’ di ricerca con orizzonti variabili dai 5 ai 20 anni ma con un occhio a sfruttare opportunita’ di impatto tecnologico; reclutamento dei migliori giovani riercatori spesso appena usciti dal dottorato piuttosto che assunzioni miranti ad assumere persone in un settore ristretto per riempire una posizione, una forte meritocrazia e un mix salutare di competizone e collaborazione, e non da ultimo il rigetto di una mentalita’, ancora purtroppo presente in certi settori accademici, che crea una distinzione netta tra ricerca di base e applicata, spesso privelegiando la prima a quest’ultima.
Nella mia seconda carriera come professore ad Harvard, iniziata nel 2003, ebbi la fortuna di lavorare fin dall’inizio in un’ organizzazione unica nel panorama accademico la Divisione (ora Scuola) di Ingegneria e Scienze Applicate, compredente un grande spettro di discipline: computer science, ingegneria elettronica e meccanica, bioingegneria, fisica e matematica applicata, chimica dell’atmosfera e scienze ambientali, senza divisioni in dipartimenti separati: una cultura e una organizzazione orizzontale che incoraggia fortemente collaborazioni tra studenti e professori. Questo mi diede un grande stimolo intellettuale, permettendomi di cominciare ricerche in campi nuovi oltre che a tuffarmi nell’insegnamento, sperimentando anche nuovi metodi didattici. Le distinzioni tra discipline (chimica, fisica, biologia, etc.) sono in buona parte di origine storica, ossia sono collegate alla necessità di organizzare il sapere in maniera gestibile e alla nascita dell’università moderna con la sua divisione in dipartimenti specializzati in particolari branche del sapere. La Natura, però, non fa distinzioni tra fenomeni fisici, chimici o biologici.
Se c’e’ un filo comune nelle mie avventure scientifiche e’ questo: sono diventato un Designer: di nuovi materiali, “man made”, che mi hanno portato a scoprire nuovi fenomemi e a disegnare nuovi dispositivi, sino al “disegno ultimo” quello delle fluttuzioni quantistiche del vuoto. Illustrero’ tutto cio’ attraverso esempi tratti dalla mia ricerca.

La rivoluzione dei materiali artificiali: le nanotecnologie e il laser a cascata quantica
Le varie epoche che hanno segnato la storia dell’umanità sono state individuate e definite tali proprio grazie all’emergere di nuovi materiali, o per un diverso utilizzo di materiali preesistenti, che hanno rivoluzionato la società, rendendo possibili delle invenzioni e l’introduzione di tecnologie innovative, che sono risultate vantaggiose per la qualità della vita e per lo sviluppo economico. Basti ricordare l’età della pietra, del bronzo, del ferro e, molto più recentemente, del vapore, il cui utilizzo ebbe un’ impatto decisivo sullo sviluppo della società industriale.
L’invenzione del transistor, nato nei Bell Laboratories nel 1947, e quella del circuito integrato o chip, nato alla Texas Instruments e alla Fairchild nel 1958-59 definiscono quell’era che possiamo definire del silicio ,materiale base dei chip, o dell’informazione. Decisiva per questa nuova era è stata anche la dimostrazione del moderno laser a semiconduttore alla fine degli anni sessanta in Russia e negli Stati Uniti, che permette di trasmettere decine di miliardi di bit d’informazione al secondo, per migliaia di chilometri, sotto forma di impulsi ultracorti di luce, utilizzando le fibre ottiche a bassa attenuazione. Il laser a semiconduttore, insieme alle fibre ottiche, incluso gli amplificatori in fibra, rappresenta l’elemento che ha rivoluzionato le telecomunicazioni. Fu il primo laser ad affermarsi su vasta scala. Dipende in maniera critica per il suo funzionamento, dalla natura dell’interfaccia tra due materiali diversi, quali l’arseniuro di Gallio e una lega nota come “Arseniuro di Gallio e Alluminio”. Questo dispositivo è un sandwich nel cui materiale centrale vengono iniettati, tramite applicazione di una tensione, portatori di carica elettrica negativa (gli elettroni) e positiva (le buche), e che da li’ emettono, neutralizzandosi, luce laser della lunghezza d’onda opportuna.
I dispositivi e i materiali a eterostruttura hanno avuto uno straordinario sviluppo negli ultimi trenta anni, aprendo nuovi orizzonti alla scienza e alla tecnologia. Alla fine degli anni sessanta ai Laboratori Bell il mio collaboratore e amico Alfred Y. Cho, invento’una nuova tecnica di crescita di film untrasottili (fino a un singolo strato di atomi), denominata epitassia a faci molecolari (MBE) che rese possibile la realizzazione di eterostrutture di grande interesse scientifico e tecnologico che altrimenti sarebbero rimaste solo sulla carta. Essa permise per la prima volta di creare sandwich ultrasottili di due materiali diversi dello spessore di qualche nanometro, detti pozzi quantici, dove gli elettroni acquistano livelli di energia, in maniera del tutto analoga agli atomi e alle molecole, il cui valore dipende dalla scelta degli spessori, un fenomeno osservato per la prima volta ai Laboratori Bell e a quelli della IBM nel 1974. I pozzi quantici hanno trovato vaste applicazioni nelle fotonica e nell’elettronica .
Mi accorsi che la MBE avrebbe consentito di creare materiali e dispositivi nuovi con enormi potenzialità tecnologiche. Intravidi che combinando in maniera opportuna materiali semiconduttori diversi (le cosiddette eterostrutture), controllandone gli spessori e la composizione chimica al variare della distanza nel materiale, avrei potuto disegnare nuovi materiali artificiali e dispositivi, le cui proprietà elettriche e ottiche potevano essere variate, quasi a piacimento, per particolari applicazioni.
Il mio primo importante risultato nel campo nascente dei materiali artficiali con proprieta’ ingegnerizzabili, che ottenni ai Laboratori Bell, fu l’invenzione, agli inizi degli anni Ottanta, delle cosiddette eterostrutture a scalinata, il primo passo verso il laser a cascata quantica, da noi realizzato nel 1994. Immaginate un materiale a molti strati disegnato in maniera tale da creare una serier di scalini di energia per gli elettroni. In presenza di un campo elettrico quando quest’ultimi arrivano a uno scalino guadagnano un’energia cinetica pari all sua altezza. Pensavo allo scalino come a una sorta di trampolino di lancio per gli elettroni, come lo sciatore lanciandosi dal trampolino guadagna energia. Il mio intento era quello di lanciare un elettrone facendogli raggiungere la velocità più alta possibile. Ripetendo questo processo a ogni scalino mi aspettavo che si potesse ridurre il tempo di transito degli elettroni attraverso il dispositivo. Questo tipo di scalino, cioè un salto energetico tra due materiali diversi, viene utilizzato oggigiorno in transistor superveloci. Poi mi venne l’idea di utilizzare la scalinata di energia in un nuovo tipo di rivelatore di luce. Qui un elettrone generato da un fotone incidente sul dispositivo, ad ogni scalino guadagna abbastanza energia cinetica da poterla utilizzare per creare, per impatto con uno degli atomi del cristallo, un secondo elettrone, e così via in un processo di moltiplicazione cosi detta “a valanga”. Mostrai teoricamente che questo rivelatore era molto piu sensibile dei rivelatori a valanga esistenti.
Poi mi venne l’idea di creare un dispositivo a scalinata in cui ogni scalino di energia era disegnato in tal maniera da creare un fotone ogni volta che fosse attraversato da un elettrone. Immaginiamo che lo scalino consista di un pozzo quantico opportunamente ingegnerizzato. Un elettrone iniettato per effetto tunnel in un livello di energia superiore effettua un salto quantico a uno inferiore emettendo un fotone laser. L’elettrone può essere riciclato dopo il primo salto, ri-iniettandolo in uno stadio identico successivo e così via. In tal modo un elettrone dà luogo a una cascata di fotoni laser di numero pari al numero degli stadi: il laser a cascata quantica!. Questo numero varia tipicamente da poche decine fino a cento. I laser a cascata quantica possono emettere, a seconda degli spessori dei pozzi quantici, lunghezze d’onda che vanno da qualche micron fino a 300 micron, ricoprendo così gran parte dello spettro infrarosso. In questa zona la maggior parte delle molecole assorbe luce, per cui il laser a cascata quantica ha trovato molti usi nel rilevamento di tracce di gas o di vapori a bassissima concentrazione (parti per miliardo in volume). Le applicazioni sono innumerevoli: dalla misura ad altra precisione dei gas serra nell’atmosfera, importante per la modelizzazione dei cambiamenti climatici, alla diagnostica dei processi di combustione nelle turbine, dove va monitorata la concentrazione di ossido di carbonio (CO) e di azoto (NO), dal controllo della contaminazione ambientale e dei processi industriali fino a quelle mediche, per esempio la diagnostica mediante l’analisi del respiro e quelle relative alla sicurezza, quali il rilevamento di esplosivi. I laser a cascata quantica e strumentazione relativa sono attualmente commercializzati da un trentina di aziende. Alcuni anni fa con dei giovani colleghi del mio gruppo creai una start-up (EOS Photonics) ora confluita in un’altra societa’ (Pendar Technologies) per la commerciallizazione di un nuovo sensore portatile e ultrasensibile di tracce gassose
Nuove frontiere del Design: Plasmonica, Metasuperfici e Ottica Piatta
Ad Harvard si presento’ al mio gruppo l’opportunita’ di aprire una nuovo strada nel design di materiali e dispositivi. Era noto da quasi 150 anni, grazie al lavoro pionieristico del grande fisico Faraday, che nanoparticelle di metalli nobili acquistano colori diversi alla variare della forma, della dimensione e del materiale (argento, oro, etc). Alla base di questo fenomeno di risonanza sono le oscillazioni degli elettroni del metallo, i cosidetti plasmoni, per cui la nanoparticella si comporta come una minuscola antenna che risponde diversamente alla luce incidente al variare della lunghezza d’onda. Una nostra prima semplice applicazione, che ebbe molta risonanza, fu l’uso di una doppia nanoantenna realizzata sulla faccetta di un minuscolo laser a semiconduttore commerciale per concentrare la luce in uno spot di dimensioni nanometriche per usi quali lo storage ottico ad alta densita’.
Questo fu seguito da uno studio fondamentale sulle proprieta ottiche di colloidi, particelle dielettriche sferiche ricoperte da una shell metallica, disposte in maniera da formare clusters di varie forme. Disegnammo un eptametro con proprieta’ ottice antiresonanti: a una precisa lunghezza d’onda il cluster diffondeva luce in opposizione di fase con quella incidente, cancellando cosi’ in parte la riflessione, un esempio della celebre risonanza di Fano o minimo di Fano, il celebre fisico che aveva lavorato con Fermi.
Successivamente motivati dalla domanda di un mio collega, il Professor Jim Anderson, noto per i suoi studi pionieriestici di fisica dell’atmosfera, se potevamo realizzare un laser a cascata quantica collimato, cioe’ con divergenza minima, senza dover usare una lente esterna, per poterlo usare in un drone dove lo spazio disponibile e’ mimimo, realizzamo per cosi’ dire una lente a contatto metallica direttamente sulla faccetta del laser per cui il fascio laser usciva quasi perfettamente collimato. Funzionava come un’antenna a micronde o a radiofrequenza altamente direzionale, un primo esempio alle frequenze ottiche di come si possa disegnare il fronte d’onda della luce emessa da una sorgente
Questi esperimenti di plasmonica ci portarono alla realizzazione che oppurtunamente strutturando una superficie con un serie di antenne metalliche sottili, separate da un distanza inferiore alla lunghezza d’onda della luce (quella che poi venne chiamata una metasuperfice in analogia con i metamateriali 3-dimensionali) potevamo creare un nuova classe di componenti ottici piatti capaci di trasformare il fascio di luce incidente in un qualunque fascio di luce trasmesso o riflesso, cioe’ con fronte d’onda arbitrario. Il primo risultato porto’ a una potente generalizzazione della legge di rifrazione della luce, detta legge di Snell, nota da piu’ di 400 anni e valida per superfici piatte e omogenee. Partendo dal principio di Fermat ( la luce segue il percorso di tempo minimo) trovammo la condizone necessaria perche’ la luce incidente a un certo angolo possa essre rifratta dalla metasuperficie secondo un angolo preassegnato. Essa va ingegnerizzata opportunamente in modo da realizzare un gradiente di fase costante della luce trasmessa, lungo la superficie. E’ notevole che in questa maniera si possano disegnare metasuperfici con rifrazione negativa, cioe’ la luce nell’attraversarle viene piegata dalla parte opposta rispetto alla perpendicolare alla superficie, un effetto da noi osservato sperimentalmente in metasuperfici costituite da un insieme di antenne d’oro su Silicio. In un esperimento successivo dimostrammmo che decorando una superficie con le stesso tipo di antenna, a forma di V, ma disposte radialmente, potevamo creare in transmissione fasci di luce a forma di spirale, noti come vortici ottici, con intensita’ concentrata in una corona circolare.
Il risultato piu importante di questi studi dal punto di vista applicativo venne con la nostra prima dimostrazione di una lente piatta capace di focalizzare luce nel vicino infrarosso senza l’aberrazione sferica, tipica delle lenti curve, che impedisce ai raggi di essere tutti focalizzati in uno stesso punto, dando luogo a immagini sfuocate. Ci rendemmo conto pero’ che un metasupeficie costituita di antenne metalliche non era utile per realizzare componenti ottici nel visibile dato le notevoli perdite di luce per assorbimento. Risolvemmo il problema utilizzando al posto delle antenne di metallo delle nanostrutture dielettriche con la stessa funzionalita’ di modificare la fase della luce incidente in maniera tale da far convergere tutti i raggi nellostesso punto focale, ma senza perdite di luce. Come materiale usammo il biossido di Titanio, di largo impiego in varie tecnologie, depositato con una nuovo processo inventato nel mio gruppo. In questo modo abbiamo recentemente realizzato lenti piatte nel visibile, in particolare nel rosso, verde e blue, che focalizzano luce in un punto con la precisione di mezza lunghezza d’onda, il cosidettto limite di diffrazione. La qualita’ della focalizzazione e’ pari a quella di un obbiettivo da microscopio commerciale di ottima qualita’ .
Questo lavoro ha portato a un grossissimo interesse da parte di molte industrie. Le lenti piatte essendo relizzabili con gli stessi processi planari usati per creare i chip al silicio utilizzati nelle fotocamere dei cellulari, in cui sono presenti tipicamente cinque o sei lenti curve tradizionali, dovrebbero portare a una grossa riduzione dei costi di produzione, essendo anche piu’ sottili, con consequente riduzione quindi dello spessore del cellulare e con maggiore facilita’ di assemblaggio e allineamento ottico. Le applicazioni possibili sono moltissime estendosi praticamente a ognidove si usano lenti: laptops, displays inclusi quelli portatitile per la realta’ virtuale o la cosidetta “augmented reality, correzione della visione, microscopi e cosi’ via.

L’effetto Casimir e la micromeccanica: Design delle fluttuazioni quantistiche

Negli ultimi anni trascorsi ai Bell Laboratories cominciai a studiare l’effetto Casimir, una manifestazione delle fluttuazioni quantistiche del vuoto. Nella fisica dei quanti non esiste il vuoto, così come è inteso in senso tradizionale. Al suo posto vi è una continua attività di creazione e sparizione di particelle (fotoni etc), che per questo vengono dette virtuali in un ribollire continuo del “vuoto” che produce effetti macroscopici molto interessanti. Tra questi c’è l’effetto Casimir, previsto da Hendrik Casimir sin dal 1948: due piatti metallici senza carica elettrica e posti nel vuoto, a una certa distanza, si attraggono con una forza quantistica che è inversamente proporzionale alla quarta potenza della distanza tra le piastre, con una costante di proporzionalità che contiene la velocità della luce e la costante di Planck. L’aspetto paradossale è proprio che due metalli elettricamente neutri possano attrarsi.
Questo fenomeno, apparentemente così misterioso, si può comprendere per analogia con la forza che, inspiegabilmente all’epoca dei grandi velieri, sembrava ogni tanto spingere questi ultimi l’uno contro l’altro se si disponevano vicini in un mare particolarmente mosso, un fenomeno solo recentemente compreso e analizzato in maniera quantitativa. La ragione fisica di questo effetto è che solo le onde con lunghezza d’onda (la distanza tra le due creste) minore della separazione tra le due navi possono esistere tra di esse. Nella zona d’acqua all’esterno dei velieri, onde di ogni lunghezza sono possibili, ed esercitano quindi una forza maggiore di quella dovuta alle onde interne. L’effetto Casimir è del tutto analogo, anche se di origine puramente quantistica: qui i fotoni virtuali hanno delle onde elettromagnetiche associate che nello spazio tra i piatti metallici possono assumere lunghezze d’onda non maggiori della loro separazione, mentre al di fuori dei piatti, nello spazio libero, sono possibili onde di qualunque lunghezza. Questo dà luogo a una forza di attrazione netta tra i piatti che è proprio la forza di Casimir.
Per molti anni questo effetto fu considerato una mera curiosità teorica. Incuriosito feci un semplice calcolo con la formula di Casimir e mostrai che se fossi riuscito a porre le due piastre nel vuoto alla distanza di 10 nanometri, si sarebbe sviluppata una pressione attrattiva tra i due piatti pari a un’atmosfera, un valore del tutto rispettabile. Sapevo che alla Bell esisteva una particolare tecnologia, detta MEMS (MicroElettroMechanical Systems), cioè sistemi microelettromeccanici consistenti di chip al silicio con parti meccaniche mobili. I MEMS sono una tecnologia commerciale da tempo: basti dire che il rilascio dell’air-bag in un’auto è controllato da un dispositivo MEMS sensibile alla decelerazione. Mi resi conto che i MEMS potevano essere assai utili per una misura di alta precisione della forza di Casimir e anche per applicazioni di questa forza “esotica”.
Costruemmo um marchingegno consistente di una piastra di silicio metallizzata con oro, capace di ruotare intorno a un perno centrale. Avvicinando alla piastra una sfera, a sua volta metallizzata, la forza attrattiva di Casimir tra le due superfici metalliche si manifesta in una rotazione della piastra. Una misura di alta precisione del minuscolo angolo di rotazione diede una misura diretta della forza di Casimir, che realizzammo con grande precisione.Questa è stata anche la prima applicazione di questa forza quantistica di origine elettromagnetica alla micromeccanica. L’idea è sempre quella di disegnare e ingegnerizzare la natura! Le forze di Casimir dipendono dalla forma delle superfici interagenti, oltre che dalla natura dei materiali. Dato che l’origine di queste forze sono le fluttuazioni quantistiche del vuoto, dobbiamo disegnare quest’ultime in modo tale da alterare le forze di Casimir. Insomma, siamo passati dall’ingegneria dei materiali a quella del vuoto!
Un effetto ancora piu’ esotico, la forza di Casimir repulsiva, attrasse la mia attenzione quando arrivai ad Harvard. Sta di fatto che se invece di due piastre metalliche ne consideriamo due fatte di materiali diversi, un metallo quale l’oro e un dielettrico come il vetro, se separate da un liquido con proprieta’ ottiche opportune, tra di esse si sviluppa tra di esse una forza repulsiva questa volta dovuta alle fluttuazioni quantistiche dei materiali. Molti avevano cercato di misurare questa forza ma senza successo. Il nostro esperimento, estremamente difficile duro’ tre anni e alla fine misurammo la forza di Casimir repulsiva tra una sfera ricoperta di un film d’oro, immersa in Bromobenzene e una lastrina di vetro, in buon accordo con la teoria. Quest’effetto potra’ trovare applicazioni nel ridurre l’attrito e in generale nel modificare il flusso di un liquido in un’intercapedine tra due materiali o nello sviluppo di nuovi sensori bilanciando la gravita’. Sfruttando questo effetto di levitazione quantica inventammo anni fa dei dispositivi ultra sensibili capacita’ di ruotare, e translare con minimo attrito.

Il futuro?

Se c’è una lezione che ho imparato dopo tanti anni di ricerca e di management è la futilità delle previsioni scientifiche e tecnologiche e dell’ impatto economico e quind anche sociale di scoperte e invenzioni. Il ricercatore stesso, la maggior parte delle volte, non sa quali svolte prenderanno i suoi studi. Immaginatevi dunque se i pianificatori della ricerca e i manager potrebbero mai fare di meglio! Tra l’altro la tecnologia è ancora meno prevedibile della scienza, dato che il suo successo dipende fortemente da fattori economici e politici e dall’esistenza o meno di barriere psicologiche alla sua accettazione.

Voglio concludere esprimendo la mia gratitudine alla Fondazione Balzan per questo prestigioso premio.

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