Un projet pour le théâtre indépendent: interview avec Manfred Brauneck (anglais) 12.06.2017

Allemagne

Manfred Brauneck

Prix Balzan 2010 pour l'histoire du théâtre et des spectacles vivants

Pour sa vaste représentation de 2500 ans d’histoire du théâtre européen ainsi que pour ses recherches sur les courants et les événements de nature internationale dans le monde du théâtre.

IL TEATRO INDIPENDENTE NELL’EUROPA CONTEMPORANEA
Intervista con Manfred Brauneck –  www.balzan.org 12.06.2017


Manfred Brauneck ha insegnato dal 1973 letteratura tedesca moderna e storia del teatro all’Università di Amburgo, dove ha diretto il Centro di Ricerca sul Teatro e il corso di studi di regia teatrale e arte drammatica.
Nel 2010 è stato insignito del Premio Balzan per la storia del teatro in tutte le sue forme espressive. Con la seconda metà del premio ha finanziato un progetto di ricerca Balzan che si occupa del teatro indipendente nell’Europa dei nostri giorni, esaminandone le strutture, l’estetica e la politica culturale.
Come risultato di questa ricerca, alla fine del progetto, è uscito per i tipi dell’editore Trancript di Bielefeld un volume in tedesco inglese che il premiato ha pubblicato insieme al centro ITI (Internationales Theaterinstitut) di Berlino.

Professore, da quando si può parlare di teatro indipendente? Che cosa esprime questo concetto di indipendenza? Libertà di chi?, da che cosa?
Il teatro indipendente ha subito uno sviluppo significativo nel corso degli ultimi 60-70 anni. Essere indipendenti ha significato, fin dall’inizio di questo sviluppo, essere liberi da vincoli istituzionali ed economici.
Alla fine del XIX secolo essere libero voleva dire bypassare la censura esistente in quel momento. Ma in principio – e pure negli anni ’60 e ’70, fino ai primi anni ’80 – il teatro indipendente fu una reazione a quella che si definiva la cultura borghese del teatro, in particolare alle sue istituzioni.
Esso ha assunto, a sua volta, forme diverse nei vari paesi europei. In Germania, c’era un forte sistema di teatri comunali e statali che hanno tradizionalmente avuto un grande rilievo, ma strutture simili si trovano in alcuni paesi, non in altri.
In questo periodo iniziale il teatro indipendente sorse come parte della politica, in particolare i movimenti giovanili di protesta che si sono estesi dagli Stati Uniti all’Europa, come ad esempio il movimento internazionale contro la guerra, il Vietnam in particolare, o – soprattutto negli Stati Uniti – contro il razzismo. Ma c’erano pure proteste che cercavano modi alternativi di vita.


Volevano essere diversi e mostrarlo?
Assolutamente. Il teatro indipendente si posizionava ai confini della società costituita. Si rivolgeva a uno specifico target che lavorava in teatro: persone che non erano interessate al teatro istituzionale, recitavano in case di riposo o nelle prigioni, negli ospedali, di fronte ai cancelli delle fabbriche o per strada; qui ad Amburgo, ad esempio, recitarono di fronte ai lavoratori dei cantieri navali.
Per questi gruppi il lavoro teatrale era LA questione per il teatro indipendente. Un altro suo dominio è sempre stato inoltre il teatro per bambini e per ragazzi e il teatro di lavoro, che si è occupato della vita degli immigrati.
In questo periodo iniziale, in particolare, sono emersi gruppi amatoriali, che spesso non sono stati molti durevoli. Così il teatro indipendente si è sviluppato all’interno di un pubblico altamente politicizzato. Dopo la fine della guerra del Vietnam, alla fine degli anni ’70, la scena teatrale si è sviluppata in una direzione meno politica; il festival di Woodstock fu un po’ il punto di svolta.

Cosa è cambiato da allora?
Venne recepito lo sviluppo di un nuova forma di teatro al quale si affiancarono nomi come Peter Brook, Eugenio Barba, Jerzy Grotowski, Ariane Mnouchkine o Dario Fo. Questa fu una scena che non si concepì mai come teatro indipendente, lavorando con la più alta professionalità, seppur al di fuori della “classica” struttura teatrale. Questo nuovo teatro ha avuto un impatto, non solo sul teatro indipendente, ma anche sull’intero sviluppo culturale del teatro e sul teatro istituzionale.

Con quali conseguenze?
Negli anni ’90 il teatro indipendente si è reinventato, diventando professionale: le strutture del gruppo si sono sviluppate in maniera stabile. Sono stati sistemati per la prima volta dai Comuni o dallo Stato. Quella che prima era un contro-cultura è arrivata nella cultura teatrale europea di oggi, tanto da esserne parte integrante. La scena indipendente, oggigiorno, non è più in prima e linea schierata politicamente, non è più da considerare come una sfera unitaria. Lo sviluppo complessivo del teatro indipendente è sempre avvenuto in una dimensione giovanile. In senso più ampio, questo è vero anche per il suo pubblico.

Quindi, le varie forme del mondo teatrale stanno mano a mano convergendo?
I singoli gruppi indipendenti oggi girano il mondo in tour con le loro produzioni. Gruppi come, She She Pop o Rimini Protokoll producono a livello internazionale, hanno sviluppato un proprio profilo artistico e sono abbastanza competitivi con i teatri istituzionali. Come per la scena teatrale indipendente nel suo insieme, anche questi gruppi lavorano in un collettivo e non temono la critica della stampa.
Tra questi gruppi, solo alcuni che hanno non poco a che fare con l’intera scena indipendente, e fra le compagnie stabili la collaborazione è frequente. La stragrande maggioranza della scena indipendente viene poco considerata, però, dalla critica teatrale.
A partire dagli anni ’90, l’estetica del teatro ha preso uno sviluppo tale che il teatro indipendente e le piattaforme istituzionali difficilmente possono essere distinte, oggi, nelle loro posizioni più di avanguardia.


Il panorama del teatro indipendente è estremamente stratificato. Si potrebbe affrontare il tema con un approccio letterario-estetico, biografico o strutturale. Come avete proceduto, lei e i suoi collaboratori?
L’obiettivo era soprattutto quello di fare un inventario completo del teatro indipendente in Europa. Abbiamo studiato come sono organizzati i gruppi, dove si esibiscono, il modo in cui vengono promossi. L’approccio metodologico del progetto di ricerca Balzan è stato principalmente sociologico, analizzando prima di tutto le condizioni strutturali del teatro indipendente. Il punto di partenza è stata la letteratura scientifica sull’argomento e altre pubblicazioni, tra cui anche le critiche; sono state inoltre aggiunte numerose conversazioni con gli artisti che lavorano nella scena indipendente e le interviste a quei personaggi che determinano le decisioni di politica teatrale. La scena indipendente si organizza in modo differente in ogni paese, pertanto ha senso parlarne solo se si prendono in considerazione tutte le realtà teatrali di ogni singolo stato. Per la nostra ricerca abbiamo sviluppato dei questionari dettagliati che ci hanno permesso di determinare la composizione dei gruppi studiati, il loro sviluppo, i metodi di produzione ecc. I collaboratori del progetto di ricerca hanno viaggiato molto per parlare con i gruppi, con i registi, confrontandosi pure coi rappresentanti delle associazioni e con i responsabili culturali e politici.

Qual è stato il quadro organizzativo per la valutazione di questa fase del progetto? Come è stata determinata l’area di ricerca, ovvero: quali sono gli argomenti che avete ritenuto centrali?
Prima di tutto, senza il Premio Balzan e il suo sostegno finanziario, questo progetto non sarebbe stato possibile in questa forma. È stata molto importante inoltre la collaborazione con il Deutsches Zentrum des Internationales Theaterinstitut (ITI) di Berlino, che ha coordinato la realizzazione del progetto.
Abbiamo organizzato una serie di simposi, ad Amburgo, a Berlino, a Hildesheim e Lipsia, dove i collaboratori, Henning Fülle, Andrea Hensel, Tine Koch,Petra Sabisch e Azadeh Sharifi, hanno svolto relazioni sullo stato del loro lavoro e durante i quali venivano anche discusse altre questioni che riguardavano il teatro indipendente. Con tutte queste università, ho avuto siglati gli accordi di cooperazione. I punti chiave sono stati il tema della danza e della performance, il teatro per bambini, lo sviluppo del Teatro indipendente nei paesi post-socialisti, e infine il teatro e l’immigrazione.
Alcuni contributi fornivano un panorama sugli sviluppi del teatro indipendente in singoli paesi europei e anche del teatro indipendente musicale. Infine si sono svolte riflessioni di politica culturale per la promozione delle performing arts. Alcuni colleghi delle suddette università (Gabriele Brandstetter della Freie Universität di Berlino, Barbara Müller-Wesemann dell’Università di Amburgo, Günther Heeg dell’Università di Lipsia e Wolfgang Schneider dell’Università di Hildesheim) hanno curato i singoli lemmi.
Da ogni contesto emerge una visione differente del teatro indipendente e si sono pure delineati gli sviluppi del teatro musicale all’aperto.


Lei ha citato l’importanza del Premio Balzan per questa ricerca. In tutta onestà: conosceva il premio prima di riceverlo nel 2010?
No, non conoscevo il premio né la Fondazione internazionale Balzan. Sono rimasto molto sorpreso quando mi hanno chiamato. Inizialmente ero un po’ scettico e speravo che sarei stato informato ufficialmente per iscritto. Quando ho ricevuto il telegramma ufficiale, allora ovviamente mi sono interessato sia alla Fondazione sia alla figura di Eugenio Balzan.

Grazie alla metà del Premio Balzan destinato, per statuto, alla ricerca, lei ha realizzato questa ricerca sul teatro indipendente nell’Europa contemporanea. Lo ha fatto perché è un tema a lei particolarmente caro?
Negli anni ’70 mi ero occupato molto intensamente del teatro indipendente ma poi lo persi di vista perché avevo altre priorità di ricerca nel mio lavoro presso l’Università di Amburgo. Nel 1980 avevo costituito insieme a Jürgen Flimm, direttore di un Teatro statale di Amburgo, un corso di regia teatrale. Poi sono stato visiting professor negli Stati Uniti e ho accettato l’incarico di dirigere il Centro per la Ricerca Teatrale presso la mia università, che era correlato ad una serie di progetti di ricerca molto specifici. In questi anni il tema principale del mio lavoro, tuttavia, è stata la storia del teatro europeo, ma non specificamente di quello indipendente. Quando mi sono trovato a dover pensare a un tema per il progetto di ricerca Balzan da finanziare, la decisione è stata presa in tempi relativamente brevi.

Come per una specie di rimorso?
No, certamente no. Ero solo curioso di vedere come questa scena teatrale così vivace si fosse sviluppata. Mi era già chiaro che il teatro indipendente era completamente cambiato durante il corso degli anni ‘90. Sono stato colpito anche dall’approfondimento della personalità di Eugenio Balzan, che aveva effettivamente lasciato per motivi politici l’Italia sotto Mussolini; il premio e la Fondazione sono stai generati da questa sua emigrazione. Ho pensato che l’argomento da me trattato, che ha ovviamente una dimensione politica, Eugenio Balzan lo avrebbe apprezzato. Sicuramente era un uomo dal gran senso degli affari, altrimenti un finanziamento di questa portata non sarebbe stato possibile.
Questi, se vuole, sono stati i due motivi che mi hanno portato a optare per questo tema.


I vari aspetti del progetto sono documentati nella presentazione completa che avete pubblicato insieme con l’ITI di Berlino sotto il titolo “Il Teatro indipendente nell’Europa contemporanea” che si chiude con una sorta di lista di richieste per la promozione del teatro indipendente. Quali conseguenze possono derivare, dal progetto nel suo insieme, per la pratica e per l’incremento della conoscenza in questo campo?
Le condizioni di lavoro nella scena indipendente sono estremamente precarie in tutti i paesi. Le forme di promozione sono molto diverse e di solito inadeguate. La fissazione della politica di sostenere in particolare le compagnie stabili, può essere spiegata principalmente per i legami del teatro con le tradizioni culturali dei paesi analizzati. Con questo inventario il nostro libro chiarisce l’enorme ruolo culturale della rappresentazione teatrale indipendente attuale, mostrandone anche la multiformità. Possiamo già notare come in alcuni paesi post-socialisti siano stati coinvolti scienziati nel teatro indipendente, e come si sia rinforzata la posizione di gruppi teatrali indipendenti.

E nella ricerca?
Ciò che è presente nel nostro libro è l’inventario più completo di teatro indipendente in Europa. Come libro di riferimento, la versione inglese è stata già messa online ed è possibile trovarla via Open Access sul web (http://www.oapen.org/search?identifier=627657).
Partendo da questo ci aspettiamo lavori di connessione sullo sviluppo artistico del teatro indipendente ma anche su singoli artisti, registi o gruppi. Per quanto riguarda il nostro team di lavoro: ci sono rimasti fondi per finanziare un progetto di follow-up sul Teatro sperimentale Free Music.


Una parola per concludere?
Fondamentalmente, io sono convinto che il nostro lavoro avrà un impatto a lungo termine pure nel più ampio panorama degli studi, dove ha avuto luogo una accesa riflessione sul teatro indipendente, ma anche nell’ambito politico-culturale. Nel panorama dei media il teatro ha generalmente perso terreno e deve combattere per avere un suo pubblico e per questo dovrà mutare. Allo stesso tempo, si può osservare che non solo il teatro indipendente – che ha sempre attirato un pubblico più giovane – ma anche le compagnie stabili dovranno essere maggiormente accettate da parte delle prossime generazioni, più di quanto non fosse in precedenza. Certamente si tratterà pur sempre di una minoranza di giovani, la maggioranza dei quali è attratta oggi dai prodotti digitali dell’industria dell’intrattenimento ma il teatro ha già dimostrato di potersi ringiovanire e quindi saprà ricoprire un ruolo importante anche in futuro.

Henning Klüver
Amburgo

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