Sintesi panoramica: Roma, 18.11.2004
Italia
Comunità di Sant’Egidio – DREAM
Premio Balzan 2004 per l'umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli
Per l’impegno della Comunità di Sant’Egidio nel rilanciare nel mondo la convivenza pacifica tra gruppi di etnia diversa e nel promuovere, indipendentemente dal credo religioso, l’azione umanitaria, di pace e di fratellanza fra i popoli, e in particolare per la realizzazione del suo programma DREAM di lotta all’AIDS e alla malnutrizione che si sta realizzando in Mozambico, modello concreto per altri paesi africani in difficoltà.
La Comunità di Sant’Egidio nasce nel 1968 tra studenti del liceo Virgilio di
Roma. Dal 1973 ha la sua sede centrale a Trastevere, nell’antico edificio del
monastero di Sant’Egidio.
In oltre trentacinque anni di esistenza la Comunità si è diffusa dapprima a
Roma, negli ambienti studenteschi e in quelli della periferia, poi in Italia,
infine dal 1983 in vari paesi europei ed extraeuropei. Oggi la Comunità si
trova, oltre che in Italia, in circa 70 paesi come Germania, Belgio, Spagna,
Irlanda, Ungheria, Russia, Ucraina, Repubblica Ceca, Georgia, Portogallo,
Francia, Olanda, Svizzera. Folti gruppi esistono in Africa (Mozambico, Costa
d’Avorio, Camerun, Guinea Conakry, Ruanda, Burundi, Malawi, Kenya, Tanzania,
Burkina Faso, Benin, Congo ecc.) e nelle Americhe (Stati Uniti, Argentina,
Bolivia, El Salvador, Guatemala, Cuba, Messico). Comunità di Sant’Egidio
esistono anche in Asia come a Timor, in Indonesia, in Pakistan, a Hong Kong o
nelle Filippine.
I membri di Sant’Egidio sparsi nel mondo sono oggi cinquantamila. Il centro
della Comunità resta Roma con il suo spirito universale che concilia e avvicina
culture e orizzonti differenti. La Comunità è stata riconosciuta come
Associazione Pubblica di laici della Chiesa Cattolica dalla Santa Sede, nel
1986. E’ anche membro del Comitato Economico e Sociale delle Nazioni Unite e
gode di status riconosciuto presso l’Unione Europea, alcune organizzazioni
Internazionali e vari Governi nel mondo.
Il servizio ai poveri
Sant’Egidio suscita e anima un servizio volontario a chi è più povero e
disagiato, nello spirito fraterno di vicinanza che contraddistingue ogni opera
della Comunità. Multiformi sono le povertà di cui la Comunità di Sant’Egidio si
occupa, così come gli scenari della sua azione sono oggi evidentemente
variegati. Agli inizi era presente la Roma delle baracche e dell’immigrazione
dall’Italia meridionale, con una periferia che presentava residui tratti da
dopoguerra. Oggi la povertà, in Europa e nel mondo, è cambiata. Un rapido
elenco dei poveri aiutati da Sant’Egidio in differenti paesi comprende: anziani
soli, disabili, bambini in difficoltà o di strada, persone senza fissa dimora,
nomadi, malati psichici, malati terminali, malati di Aids, carcerati,
condannati a morte, rifugiati, stranieri, immigrati.
Nelle città europee o americane la Comunità svolge, tra l’altro, un esteso
servizio agli anziani senza sostegno familiare e senza risorse economiche,
laddove la popolazione invecchia. Ugualmente molto sviluppato è il servizio
agli immigrati, con scuole, mense e la fondazione di un movimento di stranieri
(“Genti di Pace”) in difesa dei loro diritti ma anche in favore della
costruzione della convivenza nelle nostre città. L’alfabetizzazione e il
sostegno ai bambini svantaggiati e in particolar modo quelli di strada, è praticata
ovunque ma assume caratteristiche specifiche nelle bidonvilles delle grandi
città del Sud come quelle africane o a Buenos Aires, Cochabamba in Bolivia,
Jakarta ad esempio. Nei paesi africani il servizio ai poveri della Comunità
comprende anche la distribuzione di cibo, medicine e vestiti ai carcerati nelle
prigioni dove si muore per mancanza di tutto. C’è poi il soccorso d’emergenza
agli alluvionati o le vittime di catastrofi naturali, a San Salvador, in
Mozambico o a Città del Guatemala. Molti aiuti umanitari sono stati forniti
alle popolazioni dell’Albania o dell’ex Jugoslavia durante la guerra e anche
ora nel periodo di ricostruzione. Non manca la gestione di un ospedale, in
Guinea Bissau, dove la rete sanitaria è pressoché inesistente, e il grande programma
DREAM di cura dell‘Aids, di cui si tratta più avanti. Casi particolari
sollecitano azioni specifiche di soccorso, come organizzare una colletta per
riscattare donne e bambini neri del Sud Sudan ridotti in schiavitù o per
sostenere le spese giudiziarie dei condannati a morte negli USA oppure
interventi specifici a soccorso delle vittime di guerre o conflitti.
La pace
L’impegno per la pace e per il dialogo nasce tra i membri di Sant’Egidio
come una logica estensione dell’impegno per i poveri. La guerra è la
“madre di tutte le povertà”. La guerra è anche assenza di ogni
giustizia, come si vede in tanti paesi dove il conflitto rende impossibile la
difesa dei più basilari diritti umani. Le popolazioni civili sono le prime
vittime del conflitto, schiacciate nella tenaglia degli opposti schieramenti.
Tra i civili, i più colpiti sono i poveri, i senza mezzi che nessuno difende,
spesso vittime della violenza di entrambe le parti. In paesi e terre sconvolti
da tali avvenimenti, non è possibile alcun sviluppo mentre la giustizia risulta
asservita alla logica della violenza. A partire dalla metà degli anni Ottanta
si precisa a Sant’Egidio la riflessione sul valore della pace nel solco
dell’attenzione al Sud del mondo, ove i conflitti sembrano ingigantire i mali causati
dalla fame e dalle carestie, come in Africa, o radicarsi sull’ingiustizia
dell’esclusione di intere fasce di popolazione costrette in grande miseria,
come in America Latina. Il grido di dolore che si leva dal Sud del mondo giunge
attraverso le richieste e i racconti di amici della Comunità. La Comunità invia
aiuti umanitari in molti paesi del Sud. Ma la guerra è una realtà brutale che
annienta ogni sforzo di cooperazione.
La storia della solidarietà con il Mozambico rappresenta per Sant’Egidio
quest’Africa abbandonata in preda a un conflitto che, oltre a causare
innumerevoli vittime, rende difficili i tentativi di alleviare la sofferenza
della popolazione durante le carestie della seconda metà degli anni Ottanta. Ma
ogni aiuto sembra essere come inghiottito dagli eventi bellici che cancellano i
tentativi di ricostruire il futuro del paese. Progressivamente diventa evidente
la necessità di affrontare il problema prioritario della riconciliazione tra il
governo del Frente de Liberaçao de Moçambique (FRELIMO) e guerriglia della
Resistencia Nacional de Moçambique (RENAMO).
Il passaggio di Sant’Egidio dal terreno dell’aiuto umanitario a quello
contraddittorio della politica avviene proprio a questo punto: molte
cancellerie occidentali pensavano allora che il conflitto mozambicano non
potesse essere affrontato se non dopo la soluzione dell’apartheid in Sud
Africa. Il risultato era un immobilismo sul fronte di un conflitto che durava a
quel tempo da ormai da più di 10 anni con un’enorme quantità di vittime e sfollati.
A Sant’Egidio la percezione è diversa: malgrado gli storici legami con il
quadro generale dell’Africa australe, si nota in entrambi i contendenti un
progressivo esaurirsi della fiducia nella soluzione militare mentre,
parallelamente, si identificano le ragioni endogene del conflitto che ne
provocano l’illimitata prosecuzione. Dopo vari tentativi di cercare un sostegno
istituzionale, la Comunità di Sant’Egidio si propone direttamente come
“mediatore”. Vengono presi contatti certi con la guerriglia della
RENAMO. La trattativa prende l’avvio tra grandi difficoltà: c’è un problema di
riconoscimento perché il negoziato non assuma la caratteristica di un
vicendevole tribunale; esiste anche un problema di comunicazione tra
negoziatori e leadership in Mozambico. Il governo della FRELIMO cerca
l’immediato cessate il fuoco, l’unica carta negoziale forte della RENAMO.
Inoltre bisogna creare un clima di fiducia che renda possibile il proseguire
dei colloqui.
Assieme al vescovo mozambicano Jaime Gonçalves e al rappresentante del
governo italiano, Andrea Riccardi e Matteo Zuppi inaugurano nel luglio del 1990
il tavolo negoziale nella sede della Comunità a Trastevere, a Roma. In
quell’occasione Andrea Riccardi rivolge alle due delegazioni un discorso che
pone le basi del “metodo” dei colloqui :
“Questa casa, questo antico monastero, si apre in questi giorni come
una casa mozambicana per i mozambicani (…). Ciascuno di voi ha radici profonde
nel paese. La vostra storia si chiama Mozambico. Il vostro futuro si chiama
Mozambico. Noi stessi siamo qui come ospitanti di un evento e di un incontro
che sentiamo totalmente mozambicani. In questa prospettiva la nostra presenza
intende essere forte per quel che riguarda l’amicizia, ma discreta e
rispettosa”.
Riccardi sottolinea anche il principio che sarà poi alla base della lunga
trattativa:
“Esistono tanti gravi problemi sul passato e sul futuro. Siamo
consapevoli che ogni problema può suscitare malintesi e che molto diverse sono
le interpretazioni che si danno. Saremo capaci di risolverli e di superare le
difficoltà umane, politiche, che sono in campo? Ci sovviene allora
un’espressione di un grande papa, Giovanni XXIII, che fu anche il suo metodo di
lavoro: “preoccupiamoci di cercare quello che unisce piuttosto che quello
che divide”. La preoccupazione di quello che unisce può suggerire anche a
noi un metodo di lavoro, lo spirito per questo incontro. Quello che unisce non
è poco, anzi è tanto. C’è la grande famiglia mozambicana, con la sua storia di
sofferenze molto antiche (…). I conflitti con gli estranei passano, tra
fratelli sembra tutto più difficile. Eppure si resta sempre fratelli,
nonostante tutte le esperienze dolorose. Questo è quello che unisce, l’essere
fratelli mozambicani, parte della stessa grande famiglia”.
L’eco di tali parole si ritrova nel primo documento congiunto firmato dalle
parti: entrambe si riconoscono “compatrioti e membri della stessa grande
famiglia mozambicana”.
Questo riconoscersi fratelli, figli dello stesso popolo, è decisivo:
riecheggia l’episodio biblico di Giuseppe e dei suoi fratelli, citato anch’esso
da Andrea Riccardi nel suo discorso introduttivo. C’è una profonda separazione:
i fratelli non riconoscono Giuseppe, ministro in Egitto. A un certo punto
Giuseppe piangendo va incontro ai suoi fratelli e si rivela. Essere
obiettivamente fratelli ma non conoscersi come tali: è un punto nodale da
superare in ogni trattativa.
Le trattative mozambicane durano 27 mesi, con 11 sessioni di lavoro. Tra
alti e bassi si instaura tra le parti un clima realmente costruttivo e si
rafforza, fino all’irreversibilità, la scelta per la soluzione negoziale. Ad
osservare e sostenere il processo mozambicano vengono invitati alcuni
rappresentanti di governi occidentali e dell’area, oltre che un delegato delle
Nazioni Unite. L’Accordo generale di pace, firmato a Sant’Egidio il 4 ottobre
1992, rimane ancor oggi uno dei pochi esempi di un conflitto concluso tramite
colloqui di pace nell’Africa dell’ultimo decennio.
La pace in Mozambico è divenuta l’esempio di come una realtà non
istituzionale, quale la Comunità di Sant’Egidio, possa portare a termine con
successo una mediazione con una miscela e una sinergia di responsabilità tra
entità governative e non. In questi ultimi quindici anni la Comunità di
Sant’Egidio è sempre più conosciuta a livello internazionale, per il suo
contributo alla costruzione della pace nel mondo. Nei media si parla di “Onu di
Trastevere”.
Nel commentare il “metodo di Sant’Egidio”, l’originale approccio
della Comunità ai processi di pace, l’allora Segretario generale dell’ONU,
Butros Butros-Ghali, ha parlato di una “miscela, unica nel suo genere, di
attività pacificatrice governativa e non governativa”:
“La Comunità di Sant’Egidio ha sviluppato tecniche che sono differenti ma al
tempo stesso complementari rispetto a quelle dei peacemaker professionali. In
Mozambico la Comunità ha lavorato discretamente per anni al fine di far
incontrare le due parti: ha messo a frutto i propri contatti. E’ stata
particolarmente efficace nel coinvolgere altri perché contribuissero a una
soluzione. Ha messo in atto le sue tecniche caratterizzate da riservatezza e
informalità, in armonia con il lavoro ufficiale svolto dai governi e dagli
organismi intergovernativi. Sulla base dell’esperienza mozambicana è stato
coniato il termine di “formula italiana” per descrivere questa
miscela, unica nel suo genere, di attività pacificatrice governativa e non. Il
rispetto per le parti in conflitto, per quelle coinvolte sul terreno è
fondamentale per il successo di questo lavoro”.
Tra i leader delle grandi religioni mondiali Sant’Egidio è divenuto un nome
di pace e di dialogo. Per molti popoli e in particolare per gli africani,
Sant’Egidio è una “casa della pace” dove in tanti hanno cercato e
cercano la fine dei conflitti che insanguinano il mondo. Molti osservatori ed
esperti considerano la comunità come uno degli esempi più interessanti della
capacità della società civile di incidere sulla vita internazionale ed influire
sui processi di pace e riconciliazione. Sant’Egidio è studiato e ascoltato e
rispettato in varie cancellerie del mondo, nei fori e nelle organizzazioni
internazionali. Numerose persone delle più diverse parti del mondo si rivolgono
alla Comunità in cerca di un aiuto o di una soluzione per i loro paesi in
crisi, a rischio di conflitti civili o già in guerra. Dall’inizio degli anni
Ottanta Sant’Egidio si è impegnatao su vari scenari della vita internazionale e
in special modo per la preservazione della pace e in favore del dialogo. A
motivo della sua crescente presenza in molte regioni del mondo attraverso le
varie Comunità, Sant’Egidio sente vicine tante situazioni difficili. Nel tempo
tale interesse, oltre che in un’azione umanitaria e di cooperazione allo
sviluppo si è trasformato in un impegno a favore del dialogo per prevenire
tensioni e talvolta anche in interventi diretti di mediazione.
Tuttavia non esiste un “Sant’Egidio diplomatico”, accanto a quello
umanitario. Sant’Egidio si occupa di conflitti a partire dalla sua realtà di
comunità viva e accogliente, che prega. E’ la medesima cultura della
riconciliazione e della solidarietà aperta su un orizzonte più vasto. La
Comunità è persuasa che, oltre agli appelli e a una continua educazione alla
pace, è possibile lavorare concretamente per la pace, senza timore dei propri
deboli mezzi. Tale debolezza, vale a dire la mancanza di potere politico,
economico o militare, può trasformarsi in una forza: forza morale, che cerca di
trasformare l’uomo dal di dentro, e renderlo più giusto, più misericordioso. E’
una “forza debole” che può aiutare la pace. Se è vero che dopo la
fine della guerra fredda in molti possono provocare la guerra, è anche vero che
tutti possono lavorare per la pace.
Iniziative di pace e mediazione sono state tenute nel corso degli anni in
Kosovo (accordo sull’educazione del 1996 e 1998); in Algeria (piattaforma per
la risoluzione della crisi del 1995), Guatemala (accordo per la ripresa delle
trattative del 1996); in Burundi (partecipazione alle trattative di Arusha,
presidenza della commissione cessate il fuoco e accordo del 2000); Albania
(accordi di garanzia del 1997); Costa d’Avorio (partecipazione agli accordi di
Macoussis del 2002); Liberia (accordi di Roma del 2003 e 2004). Inoltre sono in
corso contatti e colloqui in molte zone di crisi come il Darfur, il Nord Uganda,
il Nepal e altri. Assieme alle facilitazioni vi è l’impegno per la liberazione
degli ostaggi e rapiti o la commutazione di condanne a morte, che ha avuto
numerosi successi in Colombia, Congo, Angola.
Il dialogo
Il servizio alla pace si accompagna, e talvolta ha origine, in una fitta
rete di legami, di relazioni e di amicizie nata grazie all’impegno per
l’ecumenismo e il dialogo interreligioso che la Comunità realizza dagli anni
Ottanta, in particolare tra le tre grandi religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo
e islam, ma anche con le altre religioni mondiali. Sant’Egidio mette a frutto
la sua esperienza e capacità acquisita sul terreno del dialogo interculturale e
interreligioso. Nel lavoro sociale con gli immigrati in Europa dal Sud del
mondo, e nel quotidiano incontro amichevole dei suoi membri con i poveri, la
Comunità ha appreso per così dire la grammatica della riconciliazione tra gente
diversa nella coabitazione. Durante la trattativa per la Piattaforma per
l’Algeria, gli osservatori internazionali sono colpiti dal fatto che sia
possibile per una comunità cristiana riunire nella propria casa responsabili
musulmani. Così come sorprendono le numerose reazioni positive del mondo
islamico all’iniziativa algerina, oggi molto importanti se si pensa al clima di
choc di civiltà prevalente. E’ dall’intenso lavoro in favore del dialogo
interreligioso, che proviene l’attenzione e la simpatia del mondo delle
religioni nei confronti delle azioni di Sant’Egidio sul terreno più
propriamente politico della risoluzione dei conflitti.
Dal 1987, anno successivo alla Preghiera per la Pace convocata ad Assisi da
papa Giovanni Paolo II, la Comunità organizza ogni anno un Meeting
internazionale interreligioso. L’intuizione del papa apre una nuova via di
dialogo interreligioso e di dialogo ecumenico sulla base dell’impegno delle
religioni per la pace. A Sant’Egidio si percepisce l’importanza di tale
avvenimento e la necessità di non lasciar cadere l’iniziativa. Ne nasce un
percorso di dialogo promosso dalla Comunità che con gli anni rivela tutta la
sua profondità spirituale. Una accanto all’altra, le grandi religioni cercano
una strada assieme, levando lo sguardo sul mondo e sulle sofferenze degli
uomini e delle donne di questo tempo. E’ un percorso comune, compiuto nel rispetto
delle differenze ma con il desiderio di convergere con pazienza verso
l’amicizia e la comprensione vicendevole. Non si possono ricordare tutte le
tappe di questo itinerario, si rammentano solo gli incontri di Varsavia (1989),
in un delicato momento di transizione, di Bucarest (1998) in una stagione di
forte tensione tra cattolici e ortodossi, di Lisbona (2000) con la richiesta di
perdono dei cattolici portoghesi agli ebrei, ad Aachen (2003) e l’ultimo a
Milano (settembre 2004) in cui si sono indicate piste per un superamento di uno
scontro di religione e di civiltà.
Lo spirito di Assisi è infatti il contrario dell’autoreferenzialità
impaurita che rende estranei e nemici gli uomini di religione. Compiere questo
cammino significa andare alla radice dei singoli messaggi religiosi e trovarvi
un comune messaggio di pace. In questo senso lo spirito di Assisi, di unità tra
cristiani e di dialogo tra le religioni, è come un’icona che evoca l’unità del
genere umano. Tale dialogo rafforza le chiese e le religioni davanti al
pericolo costante di rassegnarsi all’intolleranza e alla divisione. Dialogo non
significa perdita di identità né cedimento a un facile sincretismo: al
contrario, senza confusione ma senza separazione, il dialogo risponde alle
profonde ragioni dell’amore. Il dialogo è un’arte di vivere nel nostro mondo
frammentato e dispersivo. I meeting interreligiosi internazionali si ispirano
alla forza di pace delle religioni. La preghiera sta al cuore di questa forza
debole, nella consapevolezza che “solo la pace è santa” e che le
grandi religioni devono collaborare alla sua edificazione nelle coscienze come
nella vita pubblica. A Sant’Egidio si ritiene che sia necessario continuare a
far soffiare lo spirito di Assisi ovunque, affrontando il tema problematico del
coinvolgimento delle religioni nei conflitti e della necessità che esse,
rafforzate da una vicendevole solidarietà e amicizia, non si facciano
strumentalizzare dalla violenza e dal pregiudizio, non si facciano beffare dal
male.
Il programma DREAM
In Mozambico i frutti della pace raggiunta nel 1992 grazie all’azione della
Comunità, sono oggi minacciati da un’altra guerra che miete migliaia di vittime
innocenti: l’AIDS. L’UNAIDS stima che nel dicembre 2000 erano infetti, in tutto
il pianeta, 36,1 milioni di individui, di cui i due terzi (oltre 25 milioni)
residenti in Africa. Secondo l’OMS inoltre, a causa dell’AIDS, si assiste nel
continente africano ad una diminuzione della speranza di vita, che scenderà
mediante a circa 47 anni nel 2010. Senza considerare alcuni paesi in cui la
speranza di vita, a causa della malattia, è scesa ulteriormente; oggi in
Botwsana, per esempio la speranza di vita è di 35 anni, in Malawi di 34, in
Sierra Leone di 29 anni. L’AIDS, già oggi, ruba 10 anni di vita ad ogni africano.
Dopo il 2010, se non si interviene in modo efficace, ruberà un terzo della
vita. E’ davanti a questo scenario che nel 2001 un gruppo di medici e
ricercatori della Comunità di Sant’Egidio si è impegnato per dare origine al
Programma DREAM, Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition. Lo
speciale legame con il Mozambico porta la Comunità di Sant’Egidio a scegliere
questo Paese come il primo in cui avviare il programma DREAM.
Le caratteristiche di DREAM
Che cosa è DREAM? DREAM è un programma di controllo, prevenzione,
trattamento, dell’infezione da HIV in Africa. In altre parole è garanzia di
accesso alla terapia completa e sostegno complessivo alla salute, secondo un
modello economicamente compatibile e adatto all’Africa sub-sahariana e ai paesi
a risorse limitate.
DREAM riflette il modo di sentire di Sant’Egidio: per la Comunità di
Sant’Egidio è centrale il valore della persona e di ogni vita. Per lunghi anni
una strategia esclusivamente preventiva è stata il paradigma di tutte le grandi
agenzie internazionali – e della comunità scientifica – per l’attacco all’AIDS
nei paesi in via di sviluppo. Questa strategia ha mostrato i suoi limiti:
decine di milioni di africani sieropositivi e una curva dell’epidemia
drammaticamente in ascesa almeno fino al 2010 impongono uno sforzo
straordinario per recuperare il tempo perduto e affiancare alla prevenzione,
finalmente, la terapia.
In occidente, dal 1996, l’introduzione dei farmaci antiretrovirali ha
consentito la sopravvivenza di centinaia di migliaia di malati ed ha finalmente
garantito una qualità della vita non lontana da quella che si osserva per tante
patologie croniche. Inoltre, ha quasi completamente eliminato la trasmissione
da madre a bambino.
Purtroppo l’accesso alla terapia in Africa ha incontrato sinora ostacoli
formidabili. E’ uno dei paradossi dei nostri tempi e delle nostre società:
disporre di trattamenti efficaci ma non renderli accessibili a chi ne ha
veramente bisogno. Il diritto alla terapia è un diritto umano troppo spesso
violato, disatteso, e spesso senza che arrivi nemmeno a livello di coscienza.
DREAM rispecchia lo stile della Comunità ed è reso possibile dall’ impegno
gratuito e volontario di oltre 400 persone dalle diverse professionalità. E’
questa una caratteristica di DREAM, che permette un bassissimo impiego di
risorse in spese generali e di sostegno alle strutture (2-4%) sull’impegno
totale delle risorse nei progetti.
Il programma nasce dunque con l’obiettivo di tornare a riunire prevenzione e
terapia, nella convinzione che è necessario salvare oltre che prevenire,
guadagnando per quante più persone possibile un nuovo tempo alla vita.
DREAM è concepito per l’eccellenza
Eccellenza delle cure e della diagnostica, dell’organizzazione e
dell’informatizzazione. Per questo, DREAM ripropone lo stato dell’arte degli
standard occidentali, utilizzando di routine la valutazione della carica
virale, o introducendo la Highly Active Anti-Retroviral Therapy (HAART),
l’attuale golden standard nel trattamento dell’infezione da HIV, per tutti i pazienti
che ne hanno bisogno. Per la Comunità di Sant’Egidio le persone non sono mai
semplici “emergenze”, corpi da vestire, piaghe da curare, bocche da sfamare:
sono sempre persone, sono amici. Per questo ci si muove secondo quel semplice e
antico segreto che raccomanda di fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a
noi stessi. Chi non vorrebbe per se stesso l’eccellenza? Questo approccio ha
una sua profonda efficienza. E’ di grande motivazione per il personale
coinvolto, raccoglie il massimo di collaborazione dei pazienti, rende promotori
di conoscenze nell’ambiente circostante i pazienti stessi, abbatte la
dispersione e l’interruzione della terapia in atto, alza il livello qualitativo
delle prestazioni offerte. Il minimalismo tante volte proposto in tema di aiuto
internazionale e di cooperazione rischia, sul tema dell’AIDS, di condurre a
conseguenze pericolose se non addirittura letali in un ambiente già esposto a
troppe debolezze e a fronte di una complessità che è in radice refrattaria a
ogni approccio settoriale o riduttivo.
La terapia ha richiesto inizialmente un grande investimento nella
realizzazione di una rete di laboratori di biologia molecolare in grado di
fornire tutto il necessario supporto diagnostico per iniziare il trattamento e
successivamente per monitorarlo. Il Mozambico è oggi l’unico paese africano a
disporre, nell’ambito del servizio sanitario nazionale, di una rete di
laboratori pubblici in grado di eseguire la conta delle cellule CD4 e la Carica
Virale per tutti i pazienti in terapia. Queste strutture hanno peraltro reso
possibile effettuare in loco l’addestramento di personale di laboratorio
qualificato, problema cruciale in tutto il continente.
Il modello DREAM offre agli africani tutto quel che viene ritenuto
indispensabile nei nostri paesi ad alto tasso di sviluppo: è una questione di
dignità, ma anche di efficacia. Farmaci, analisi e trattamenti sono di fatto
analoghi a quel che viene adottato nel nord del mondo. Un approccio pragmatico
al problema dei farmaci ha fatto sì che l’utilizzo di antiretrovirali generici
si sia accompagnato alla collaborazione con le case farmaceutiche produttrici
di brevetti, tanto che interessanti prospettive si vanno aprendo per poter
offrire in Africa la stessa gamma di prodotti oggi disponibili ad esempio in
Italia o negli Stati Uniti.
DREAM si fonda sulla partnership
La Comunità di Sant’Egidio non svolge il ruolo del donatore distratto che,
per la sua ownership, concede i propri fondi e lascia fare, affidandosi tutt’al
più ai rendiconti finanziari. Non si tratta di paternalismo ma di
responsabilità. Poter lavorare insieme è una chance in più. Lavorare insieme
significa fornire tutti i mezzi necessari a raggiungere gli obiettivi, in
collaborazione e nel rispetto del quadro istituzionale locale. Così, mentre
centinaia di membri della Comunità si dedicano ad attività di promozione del
progetto in Occidente, oltre 400 volontari qualificati – medici, infermieri,
tecnici di laboratorio, informatici, educatori, amministrativi – si alternano a
rotazione, con sovrapposizione e trasferimento diretto di conoscenze, durante
tutto l’anno, per affiancare il personale locale impegnato nel programma.
DREAM è un programma partecipativo
Nasce nei paesi più industrializzati del mondo, ma ha una solidissima base
sociale in Africa. La Comunità di Sant’Egidio è essa stessa africana, dal
momento che vive in 26 paesi del continente con quasi ventimila membri, tutti
africani. Tutti infatti possono aiutare: nessuno è così povero da non poter
aiutare qualcuno più povero di lui. Ma DREAM è anche aperto alla partecipazione
di chi vive in Occidente: se Istituti a carattere scientifico e diverse realtà
del mondo industriale ed economico sono ormai stabili partner nel programma,
offrendo le loro risorse tecnico scientifiche ed economiche, moltissimi privati
cittadini partecipano al programma ricevendone una informazione puntuale e
offrendo il loro sostegno in molte forme.
DREAM è modulato per un rapido scaling–up
L’eccellenza delle prestazioni e le ridotte risorse economiche non hanno rappresentato
un limite alla possibilità di diffondere la cura a un vasto numero di persone
e, in prospettiva, a tutti. Il problema principale è piuttosto nella difficoltà
di implementare, in sistemi sanitari a risorse limitate come quelli africani,
la complessa assistenza richiesta per l’infezione da HIV/AIDS. Occorre
costruire una strada innovativa proprio in questo campo, tenendo conto dei
peculiari fattori e mettendo a frutto la necessità di strutture agili e
leggere. Oggi DREAM si dimostra un modello funzionante che deve affrontare la
sfida della sua crescita. Si tratta di ampliare e dilatare insieme, uno accanto
all’altro, tutti gli aspetti del sistema: dall’addestramento del personale
tecnico e medico (in paesi, come gran parte di quelli dell’Africa sub-sahariana,
con una cronica carenza di personale aggravata dalla pandemia) alla creazione
di adeguate infrastrutture, dalle
facilities diagnostiche ad
un’adeguata assistenza al parto, dal monitoraggio e supervisione delle terapie
alla valutazione dei risultati.
La crescita coordinata ed armonica delle diverse componenti rappresenta un
passaggio critico che richiede e richiederà un impegno eccezionale. Del resto
la lotta all’AIDS deve affrontare questo ineludibile transito su grande scala
delle cure per ambire a diventare battaglia su scala-paese e modello per paesi
a risorse limitate. Non si può, infatti, offrire tutto a tutti
contemporaneamente. Questo impone scelte di priorità. Nella prima fase è stata
data precedenza con DREAM, alle donne in gravidanza, alla coppia madre-bambino
e ad alcuni interventi chiave in settori strategici dello sviluppo, come quello
sanitario (medici, infermieri e personale ausiliario) ed educativo (insegnanti
della scuola dell’obbligo). In seguito DREAM si è fatta carico di altri settori
chiave delle società : personale dell’esercito, amministrazione pubblica e
lavoratori di aziende. DREAM non dimentica altri settori di popolazione che più
difficilmente hanno accesso alle cure, come ad esempio quello dei detenuti
nelle carceri o dei bambini negli istituti.
E’ stato chiesto più volte ai responsabili del programma se sia etico o meno
privilegiare una fascia di popolazione su un’altra. La situazione di partenza,
purtroppo, in gran parte dell’Africa è proprio quella della non-scelta accompagnata
da immobilità, impotenza e totale rassegnazione di fronte all’espandersi
dell’epidemia.
Non scegliere per evitare il rischio di scelte di priorità
necessarie all’inizio di ogni programma con ambizione globale (come il
contenimento, il contrasto e la sconfitta dell’AIDS in Africa), appare davvero
il contrario del rischio etico, in una sorta di limbo che diventa responsabile
della scomparsa di intere generazioni.
Per questo, scelte di priorità introducono un inizio di etica in uno
squilibrio Nord/Sud drammaticamente marcato.
DREAM è un programma di sanità pubblica
DREAM è stato concepito per diventare una componente stabile dei servizi
sanitari nazionali, ma non esclude strutture private – di grande rilevanza
sociale e pubblica – gestite da congregazioni religiose, da volontari, da ONG
ed altre agenzie di solidarietà, che già stanno efficacemente contribuendo allo
scaling–up del programma. Tutti i servizi sanitari, dalla diagnostica
al supporto nutrizionale, dall’educazione sanitaria alla terapia convenzionale
di infezioni opportunistiche e di infezioni a trasmissione sessuale (come la
HAART), sono offerte in totale regime di gratuità, almeno per quel che riguarda
le popolazioni appartenenti ai bacini di utenza dei centri. E’ allo studio la
possibilità di garantire l’accesso a questi servizi anche per chi è lontano
geograficamente, proponendo meccanismi di
cost-sharing basati sulle
spese vive, per coprire i costi, ad esempio, dei reagenti per diagnostici.
DREAM è anche ricerca operativa
DREAM è utilizzato anche a scopi di ricerca in sanità pubblica,
epidemiologia dei servizi e del loro impatto, nella clinica e nella terapia per
paesi in via di sviluppo. L’acquisizione di nuove conoscenze, nella ricerca
dedicata ad interventi di sviluppo in paesi poveri, non può che rappresentare
un valido contributo sulla via della lotta all’AIDS. In questo senso il
programma è dotato di robuste connessioni con il mondo scientifico ed è
orientato alla raccolta dei dati per studi epidemiologici, sia in via
routinaria che per indagini ad hoc. Grande attenzione è stata assegnata alla
necessità di dare vita – nonostante le ovvie debolezze infrastrutturali in
paesi di grandi dimensioni e con problemi di comunicazione – a un efficiente
sistema di comunicazione interna. Una rete informatizzata e telematica unisce
tutti i centri del paese e li connette a server in loco ed in Europa,
facilitando il lavoro di coordinamento e di supervisione, consentendo immediati
teleconsulti per i clinici di DREAM e fornendo in tempo reale i dati prodotti
nelle singole strutture.
I risultati di DREAM
DREAM ha preso l’avvio nel marzo 2002 in Mozambico. All’inizio arrivavano
nei nostri centri per fare il test quei malati che non avevano niente da
perdere, i più disperati, quelli che era chiaro che erano affetti da AIDS e per
questo erano allontanati da tutti.
In pochi mesi questi malati hanno cominciato a trasformarsi: Abbiamo avuto
dei risultati spettacolari: abbiamo assistito a delle vere e proprie
resurrezioni. Si potrebbero fare molti esempi, forse il più significativo è che
un folto gruppo di questi malati della prima ora ha fondato l’associazione
“Mulheres para o dream”, donne per un sogno. Molte di queste donne lavorano per
il programma, accolgono chi arriva per la prima volta, l’incoraggiano, aiutano
a seguire bene la terapia, soprattutto testimoniano con la loro vita che l’AIDS
non è una condanna a morte. Questo rappresenta un aspetto molto significativo
del programma, perché l’associazione diviene un fondamentale percorso di
reinserimento nella vita: dall’esclusione e dallo stigma si torna ad uscire di
casa, a lavorare e si trova il riscatto di poter aiutare gli altri e di
diventare veicoli di trasmissione culturale. Le nostre attiviste infatti, dopo
una lunga formazione, svolgono una inestimabile azione di educazione sanitaria
alla pari, che va ben oltre le semplici nozioni sul virus dell’HIV e finisce al
contrario per investire tanti altri aspetti della vita: l’alimentazione,
l’igiene della casa e delle persone, la prevenzione di patologie infettive e
molto altro. Così la donna, da principale vittima dell’AIDS, diviene
protagonista della liberazione dalla malattia.
Abbiamo poi potuto verificare che i malati africani, a dispetto di un certo
scetticismo, sanno seguire benissimo la terapia, tanto che l’aderenza al
trattamento nei nostri centri in Africa è superiore a quella di strutture di
cura italiane o americane. Nell’ambito del programma DREAM l’aderenza è pari al
95%, un dato che è stato reso possibile dal modello innovativo, dall’erogazione
gratuita dei farmaci, dall’educazione sanitaria, dalla rete territoriale e
domiciliare, dai rapporti di vicinanza che si creano, dall’efficacia stessa
della terapia. Ma soprattutto, questa altissima aderenza è dovuta alla serietà
e alla voglia di vivere dei pazienti.
Nel giro di tre anni, siamo passati dai primi 50 test agli oltre 13.000
attuali, con circa 2.500 in terapia antiretrovirale (fig 1) e quasi 7.000
pazienti in assistenza.( fig 2) Soprattutto, il 95% dei nostri malati è vivo e
con una buona qualità di vita. Il 97% dei bambini nasce sano da una madre
sieropositiva. La madre, coperta dalla terapia, continua a vivere e chi nasce
sano non entra nell’esercito degli orfani da AIDS.
Un ulteriore dato che conferma la bontà dell’approccio complessivo di DREAM
alla salute dei pazienti è che il tasso di mortalità infantile (bambini che
muoiono nel primo anno di vita) è inferiore di un terzo rispetto a quello
generale del Mozambico. Cioè: vivono e restano sani molti più bambini nati da
madri infette ma coperte da DREAM, che bambini nati da madri sane non coperte
da DREAM. Senza la copertura terapeutica, si avrebbe avuto un esito del tutto
opposto. Anche i primi indicatori di costo, sulla base del budget 2003,
appaiono incoraggianti. La spesa annuale di un paziente sieropositivo in
assistenza al programma DREAM è stata mediamente inferiore ai 400 euro. Se si
considerano i soli pazienti in terapia antiretrovirale attiva è stata di 670
euro. Si tratta, come si vede, di costi non incompatibili con grandi numeri, se
si decide che questa è una priorità mondiale.
Prospettive
I risultati di DREAM consentono di dire che la cura dell’AIDS in Africa è
possibile, molto efficace ed economicamente sostenibile.
Pertanto un’estensione del modello DREAM avrà ricadute non solo sul piano
individuale dei singoli pazienti. DREAM infatti può incidere sulle conseguenze
economiche e sociali dell’epidemia. Dopo il Mozambico, anche in Malawi il
programma è già iniziato da alcuni mesi, avendo in cura più di 350 persone. Ma
DREAM oggi si appresta a diventare realtà in altri paesi africani:
Guinea-Bissau, Tanzania, Guinea Conakry, Costa d’Avorio e Angola.
In questi paesi sono già stati presi accordi con i locali Ministeri della
Sanità e sono identificate le strutture dove implementare il programma. Il
personale di varie qualifiche (medici, infermieri, biologi, ecc.) che lavorerà
nell’ambito del programma, ha già preso parte a corsi di formazione specifici
sul trattamento antiretrovirale e sui protocolli diagnostico-terapeutici di
DREAM, utilizzando i centri di cura e i laboratori di biologia molecolare già
esistenti in Mozambico. La chiave del successo di DREAM infatti è investire
sulle risorse umane e sulla formazione di personale locale.
Il personale europeo espatriato è sempre presente con ruoli di coordinamento
dei vari servizi, ma l’obiettivo di DREAM è di formare personale africano, che
peraltro è l’unico retribuito nel programma. Sin dall’inizio pertanto uno dei
campi di azione prioritario è stato quello della formazione: corsi periodici
(almeno due volte l’anno) sono stati organizzati in Africa. Corsi di formazione
rivolti a tutti coloro che vogliono iniziare il programma DREAM; si tratta di
corsi a cui hanno partecipato varie figure professionali di tipo sanitario
(medici, infermieri, biologi, tecnici di laboratorio, ecc. ) ma non solo
(amministrativi, operatori sociali, ecc) per apprendere i fondamenti del trattamento
antiretrovirale e di DREAM.
Tutto questo con lo scopo di poter replicare il successo e l’originalità di
DREAM anche in altri paesi africani.
Diffondere DREAM non vuol dire infatti perdere quelle caratteristiche
intrinseche del programma quale è l’eccellenza nella diagnostica o nella
terapia, ma neanche venire meno a quel rapporto privilegiato e personale con
ogni malato, che è nello spirito della Comunità di Sant’Egidio.
In quest’ottica la formazione assume un ruolo fondamentale nell’ambito del
programma e un settore in cui investire sempre più in risorse finanziarie ed
umane. I corsi di formazione hanno infatti una qualità decisamente alta,
garantita dalla preparazione dei docenti, medici e altri professionisti europei
esperti in sanità pubblica e nel trattamento antiretrovirale e dal metodo
didattico altamente interattivo e specialistico per le varie figure
professionali. Il successo di questa metodologia è evidente anche nell’alto
numero di adesioni; all’ultimo corso svoltosi in Mozambico hanno partecipato
quasi 150 corsisti provenienti da 10 paesi africani.
Il personale mozambicano già formato e operante nei centri ha potuto così
trasmettere il “know-how” professionale acquisito. Con DREAM abbiamo così
assistito al diffondersi di un altro contagio: un contagio buono, quello della
speranza di poter davvero combattere l’AIDS in Africa. DREAM oggi rappresenta
per questi paesi una risposta credibile, efficace e sostenibile alla pandemia
dell’AIDS, che minaccia il futuro del continente.
Resta ancora molto da fare sul piano della salute così come su quello dello
sviluppo, ma oggi appare chiaro che DREAM ha aperto una nuova strada, quella di
una partnership tra Africa ed Occidente vera, senza complessi e senza
paternalismi. La Comunità di Sant’Egidio crede a volte che si possono vincere
sfide impossibili. Il nostro sogno non è solo quello di vincere sull’AIDS ma
anche quello di una nuova alleanza, di un nuovo rapporto tra Africa ed Europa,
tra Africa e Occidente.