USA
Premio Balzan 1998 per la geochimica
Discorso di ringraziamento – Roma, 23.11.1998
Signor Presidente,
Membri della Fondazione Balzan,
Signore e Signori,
è per me un grande onore ricevere i primo Premio Balzan per la Geochimica: con questa prestigiosa benemerenza non solo si rende merito alle mie ricerche, ma si riconosce del pari che la Geochimica è ormai diventata una scienza matura con tutti i suoi diritti. Dunque, tutti i geochimici condividono con me questo premio che riconosce gli sforzi compiuti dai pionieri e dagli scienziati d’oggi nell’applicare i principi della chimica, della fisica e della geologia allo studio della Terra,
La geochimica è lo studio della Terra solida, dell’atmosfera e degli oceani. Modernamente intesa, nel senso cioè d’essere fondata sulla chimica e sulla fisica, essa ebbe inizio con l’attività di Victor Moritz Goldschmidt in Norvegia, il cui opus magnum, “Geochemistry”, pubblicato nel 1954, fu il primo trattato ad avere per oggetto le leggi che determinano la distribuzione geochimica degli elementi. Le sue determinazioni dell’abbondanza degli elementi, specialmente quelli con il “numero magico” di neutroni, portarono allo studio sistematico dei suoi risultati da parte di fisici e chimici e, infine, a due Premi Nobel per le teorie sull’origine degli elementi fondate sulla fisica nucleare. Nel contesto di questo consesso romano mi piace ricordare che Goldschmidt nel 1929 ebbe l’onore, all’età di quarantun anni, d’essere nominato Socio Straniero dell’Accademia dei Lincei.
La Geochimica degli isotopi, o Geologia nucleare – come talvolta viene chiamata – include due principali discipline: la geochimica degli isotopi stabili e lo studio degli isotopi radioattivi e radiogenici; esse sono distinte dal fatto che gli isotopi stabili degli elementi leggeri, primariamente carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto e zolfo, hanno un comportamento poco diverso nel corso dei processi fisico-chimici (“frazionamento isotopico”), mentre gli elementi radioattivi definiscono le età geologiche con il loro ben noto tasso di decadimento, nonché le caratteristiche segnature geochimiche degli elementi radiogenici quando i loro isotopi genitori si arricchiscono o s’impoveriscono nelle varie fasi tramite processi chimici. Queste due branche della Geochimica ebbero inizio negli anni immediatamente seguenti alla seconda guerra mondiale nei laboratori di Alfred O.C. Nier, fisico dell’Università del Minnesota, e dì Harold C. Urey, fisico- chimico dell’ Università di Chicago: entrambi introdussero innovazioni foriere d’importanti sviluppi. Alfred Nier studiò sia gli isotopi stabili sia quelli radiogenici, in particolare gli isotopi del piombo (il che portò a determinare di precisione l’età della Terra) e nel 1947 inventò un semplice ma preciso spettrometro di massa, strumento che avrebbe rivoluzionato la geochimica.
Il contributo egualmente fruttuoso di Harold Urey fu l’ormai classico testo “Le proprietà termodinamiche delle sostanze isotopiche”, pubblicato anch’esso nel 1947, in cui egli calcolò, fondandosi sulla meccanica quantistica e sui dati spettroscopici relativi alle molecole isotopiche, i fattori di separazione all’equilibrio per gli isotopi degli elementi leggeri nelle reazioni chimiche e negli equilibri di fase tra solido, liquido e vapore Urey notò che l’acqua marina avrebbe dovuto arricchirsi dell’isotopo pesante dell’ossigeno (18O) rispetto all’acqua dolce, essendo più favorita l’evaporazione dalle acque oceaniche dell’isotopo leggero (16O); così le conchiglie precipitatesi nell’acqua marina dovevano avere rapporti 18O/16O più alti delle conchiglie formatesi in acqua dolce, cosa che avrebbe potuto fornire un metodo per distinguere le origini dei fossili, Quando Urey calcolò la variazione di temperatura del frazionamento isotopico dell’ossigeno tra carbonati e acqua, “di colpo— egli constatò— ebbi tra le mani un termometro geologico” Con caratteristico slancio egli si applicò senza indugio ad un ampio programma per determinare se verso la fine del Cretaceo un improvviso mutamento climatico ad un regime più freddo non avesse causato l’estinzione dei dinosauri. Fu così che la geochimica dell’isotopo dell’ossigeno cominciò ad essere applicata allo studio dei mutamenti climatici; ora essa è divenuta la metodologia fondamentale per lo studio dei climi nelle ere passate. Per la generosità di Alfred Nier, Urey poté acquisire i disegni progettuali dello spettrometro di massa di Nier e quindi costituì un gruppo che costruì tre di questi strumenti e si mise a lavorare sulla climatologia del Cretaceo.
Purtroppo, come ormai sappiamo, la scomparsa dei dinosauri fu causata dall’impatto di una grande meteorite che cadde per caso in Messico, piuttosto che da un improvviso raffreddamento dell’oceano. Che il fiorire della climatologia isotopica dell’ossigeno cominciasse nel laboratorio di Chicago di Urey dipese da un altro, e forse ugualmente fortuito impatto, che del pari determinò l’abbandono delle conoscenze scientifiche allora correnti sui cicli climatici glaciali e interglaciali del Pleistocene. Tale imprevedibile evento fu l’arrivo da Bologna di un giovane scienziato italiano, un micropaleontologo di nome Cesare Emiliani che s’era laureato all’università di Bologna e prese poi il dottorato all’Università di Chicago nel 1950. Cesare Emiliani non aveva la ben che minima conoscenza degli isotopi o degli spettrometri di massa, ma come un dono dei Re Magi, gli capitò di fare un giro nel laboratorio di Urey seguendo un gruppo di studenti di geologia di Chicago (io ero uno di loro) e si mise a lavorare su ciò che da allora divenne lo studio delle “paleotemperature isotopiche”. Heinz Lowenstam aveva suggerito a Urey che certi microfossili marini (i foraminiferi) sarebbero risultati utili per gli studi delle paleotemperature, ed Emiliani era un esperto di foraminiferi. La sua grande idea fu di lavorare non sul Cretaceo, ma piuttosto di concentrarsi sulla storia delle glaciazioni pleistoceniche racchiuse nelle carote dei sedimenti oceanici. Dal 1955 al 1966 egli pubblicò quattro studi fondamentali che provocarono una rivoluzione nella climatologia col dimostrare che in luogo delle canoniche quattro glaciazioni determinate dai geologi, che lavoravano sui depositi glaciali continentali, i microfossili oceanici registravano molti stadi glaciali e interglaciali nel corso dei passati mezzo milione di anni ed evidenziavano così una sequenza estremamente complessa e rapidamente fluttuante di eventi climatici. D’un tratto, con l’applicazione delle variazioni dell’isotopo dell’ossigeno allo studio dettagliato dei climi delle epoche passate, egli aveva stabilito un nuovo ed importante campo d’indagine, che ora costituisce il presupposto fondamentale alle nostre conoscenze sulle mutazioni climatiche. La geochimica degli isotopi era diventata una scienza fondamentale, senza possibilità di retrocedere.
Ma torniamo in Europa. Ho già accennato che negli Stati Uniti erano due i più importanti laboratori dove ebbe origine la geochimica degli isotopi; ebbene, in quella fase iniziale anche in Europa sorsero due gruppi molti simili. Ed è quanto mai opportuno che il primo Premio Balzan per la Geochimica sia una benemerenza tanto italiana quanto svizzera, poiché fu proprio in questi due paesi che la geochimica degli isotopi ebbe inizio in Europa, ovvero nei laboratori di Ezio Tongiorgi, un geologo italiano di Pisa, e di Fritz Houtermans, un fisico che dirigeva il Physikalisches lnstitut di Berna. Houtermans, eminente fisico nucleare, formò un compatto gruppo di studenti che portò enormi contributi su vari argomenti quali il vento solare, la composizione delle comete, la cosmochimica e l’applicazione degli isotopi dell’ossigeno alla decifrazione della cronologia e delle registrazioni climatiche contenute nelle carote dei ghiacci polari. Houtermans e Tongiorgi erano molto amici e ricordo bene gli incontri a Pisa, ove trascorsi un anno sabatico, e le nostre molte escursioni natatorie a Marina di Pisa. Ezio Tongiorgi era un eclettico geochimico italiano: assaggiando un vino sapeva dire il tipo di suolo che lo aveva prodotto; era anche un esperto di ceramiche pisane e di molte altre cose. Così i nostri seminari, le gite natatorie e le conversazioni sui vini risultavano infinitamente vari quale che fosse l’argomento, scientifico o sociologico.
Quando decise di sviluppare la geochimica isotopica a Pisa, Tongiorgi ebbe la stessa fortuna di Harold Urey, allorché questi ricevette un dono dei Re Magi dall’Italia.
Questa volta il dono fortuito fu nella persona di Giovanni Boato, un giovane fisico di Genova che su proposta di Edoardo Amaldi era giunto nel laboratorio di Urey nel 1952 con una borsa di studio Fulbright. A Chicago Boato fece una scoperta di fondamentale importanza, dimostrando per la prima volta che i rapporti isotopici dell’idrogeno nelle meteoriti carbonacee provavano che l’acqua in esse contenuta era di origine extraterrestre ed era, dunque, insita nelle meteoriti piuttosto che dovuta alle alterazioni susseguenti al loro impatto con la Terra. Questa rimarchevole scoperta fu di notevole sprone all’incremento della ricerca in cosmochimica, i cui effetti si risentono ancor oggi negli studi sulla possibilità che esistano forme primordiali di vita su Marte. Durante questo periodo Boato si recò anche nell’Ovest degli Stati Uniti a raccogliere campioni d’acqua dalle sorgenti termali, che, sulla base dei rapporti isotopici dell’ossigeno e dell’idrogeno, dimostrammo derivare pressoché in foto da ricircolo in profondità di acqua piovana piuttosto che da acqua sviluppata dai magma vulcanici, come peraltro s’era generalmente creduto fino a quel momento. Cominciò così la mia lunga amicizia con “Gianni”, che fu per me un altro “dono dai Magi”.
Poco dopo il ritorno in Italia, Boato e Tongiorgi cominciarono a progettare di costruire a Genova tre spettrometri di massa simili agli strumenti di Urey. Uno di essi giunse a Pisa, dove Tongiorgi aveva costituito un gruppo di giovani studiosi in geochimica degli isotopi; un secondo andò a Roma, dal professor Fornaseri, per analoghi studi; il terzo rimase a Genova per le ricerche di Boato, che allora era passato alla fisica degli effetti isotopici negli equilibri di fase, quali l’equilibrio vapore-liquido nell’argo liquido alle basse temperature. Ormai m’ero trasferito da Chicago a La Jolla, ma ebbi comunque il privilegio di trascorrere periodi sabatici, come professore ospite, sia a Pisa sia a Berna, dopodiché Fritz Houtermans e tanto Giorgio Ferrara quanto Antonio Longinelli – entrambi del gruppo di Tongiorgi – passarono i loro periodi sabatici nel mio laboratorio, mentre Houfermans mandò Johannes Geiss e Peter Eberhardt nel laboratorio di Urey, cosicché il legame Italia-Svizzera-Chicago-La Jolla continuò. Di più, a Spoleto e a Varenna si tennero due magnifiche conferenze organizzate da Tongiorgi, ed in tal modo la geochimica degli isotopi prosperò sia in Europa sia negli Stati Uniti.
Oggi vi sono gruppi di geochimici degli isotopi stabili e radioattivi in quasi tutte le maggiori città dei paesi più evoluti, e la ricerca procede ad un ritmo che pare incredibile se appena si volge indietro lo sguardo a quei momenti iniziali e formativi degli anni ‘50. Ma guardare avanti è più produttivo (anche se non ugualmente gratificante) che guardare indietro; quindi concluderò proponendo poche considerazioni su alcune tra le più stimolanti frontiere del prossimo futuro.
La climatologia, sotto la spinta dell’interesse per i contributi antropogenici al riscaldamento globale di questo secolo, è, tra le scienze della Terra, quella in più rapida espansione, e la geochimica degli isotopi riveste un ruolo quanto mai significativo in questo campo. Più sopra ho accennato a come gli isotopi dell’ossigeno nei microfossili marini servano a determinare la durata dei molti stadi, glaciali e interglaciali, registrati nei sedimenti. Analoghi studi degli isotopi dell’ossigeno nelle carote di ghiaccio prelevate in profondità, provenienti dalle calotte della Groenlandia e dell’Antartide, non solo segnalano l’ampiezza e la durata di questi eventi in maggior dettaglio, ma servono a stabilire le temperature ambientali al di sopra degli strati di ghiaccio negli ultimi centomila anni ed oltre. Queste temperature sono state decifrate utilizzando le relazioni termiche odierne dei rapporti isotopici dell’ossigeno nella neve e nel ghiaccio di superficie per calcolare le temperature passate registrate nelle carote dì ghiaccio Tuttavia, questa metodologia è stata messa recentemente a dura prova dai profili termici misurati direttamente nei fori di trivellazione degli strati di ghiaccio (convenientemente adattati per la diffusione del calore nel ghiaccio e per il regime di scorrimento dinamico del ghiacciaio). In Groenlandia, per esempio, dove l’attuale temperatura ambientale è di -31° C, la temperatura isotopica dell’Ultimo Massimo Glaciale è risultata -42° C, mentre il valore (rilevato direttamente) nel foro di trivellazione è di -52° C, una discrepanza molto significativa e determinante per la modellazione climatica, che dipende fortemente dalla differenza di temperatura fra i tropici e i poli.
Una nuova importante scoperta ricavata dai profili isotopici dell’ossigeno nelle carote di ghiaccio è l’esistenza delle cosiddette oscillazioni alla “scala del millennio”, ossia il rapido altalenare delle temperature da fredde a calde nel volgere di qualche decennio fino a un secolo, che ha una ricorrenza di circa mille anni. Si pensa che questi rimarchevoli fenomeni siano correlati a repentini cambiamenti nelle correnti oceaniche e, forse, alle oscillazioni di El Niño. Lo sviluppo della comprensione dei processi climatici in cambiamenti di temperatura tanto rapidi e notevoli richiede una più accurata informazione sulla scala delle effettive temperature isotopiche dell’ossigeno nelle carote di ghiaccio. Nel mio laboratorio recentemente sono stati fatti alcuni progressi, dimostrando che i gas e i loro isotopi si arricchiscono nei componenti di massa più pesante per effetto della separazione gravitazionale nello strato di nevaio (neve) sopra il livello dove il ghiaccio si forma per compattazione. Utilizziamo i rapporti cripto/argo intrappolati nel ghiaccio quando si forma, che sono correlati alle temperature dell’ambiente del ghiaccio e sono in relazione con lo spessore del nevaio e col tasso di accumulo. E’ così che per la Groenlandia i nostri risultati più recenti concordano con quelli derivati dalla misurazione diretta nei fori di trivellazione. In questo campo la ricerca è suscettibile di una forte espansione che certamente è da favorire.
La chimica atmosferica è oggi una delle frontiere più stimolanti e rivoluzionarie della geochimica, in particolare la chimica dello strato dell’ozono e dei gas che interagiscono con l’ozono (è interessante notare che la parola “geochimica” venne creata nel 1838 da Schönbein, chimico svizzero che scoprì l’ozono). Nel 1983 il mio collega Mark Thiemens scoprì che l’ozono formato dall’ossigeno molecolare mostrava un tipo di arricchimento degli isotopi pesanti 17O e 18O (relativamente a 16 O) completamente ignoto fino a quel momento, in cui i grandi arricchimenti di questi due isotopi erano uguali anziché essere nel rapporto di 1 a 2, come è previsto se si sta alla tradizionale teoria del frazionamento isotopico, dalle relative differenze di massa. Tale effetto del tutto inatteso, ora noto come “frazionamento indipendente dalla massa”, fu effettivamente osservato nell’ozono stratosferico nel 1985 e nel 1987, e al presente è oggetto di molte ricerche sia sperimentali sia a livello teorico (potrebbe dipendere dagli effetti delle differenze di simmetria nelle molecole isotopiche O3 ,ma ancora non si ha una teoria soddisfacente). Ulteriori indagini di Thiemens hanno dimostrato che gli isotopi dell’ossigeno nel biossido di carbonio, nel monossido di carbonio e nell’ossido di biazoto stratosferici hanno anch’essi composizioni isotopiche indipendenti dalla massa, presumibilmente per effetto dell’interazione con atomi di ossigeno attivati, mentre i componenti di questi gas prodotti nella troposfera, sia per natura sia per processi antropogenici, non manifestano tali effetti. Questi effetti isotopici forniscono indicazioni fondamentali sulla chimica stratosferica delle molecole contenenti ossigeno (“gas di serra”) e, nello stesso tempo, sono importanti traccianti isotopici dei processi di mescolamento fra stratosfera e troposfera. Attualmente sono l’obiettivo di un grande e crescente numero di gruppi sperimentali e teorici.
Il frazionamento indipendente dalla massa degli isotopi dell’ossigeno è un argomento “caldo” anche in cosmochimica, ovvero nello studio della storia primitiva del sistema solare. R. Clayton, a Chicago, aveva dimostrato che l’ossigeno delle inclusioni contenute in alcuni minerali di meteoriti ha una composizione isotopica indipendente dalla massa, e fino a poco fa si riteneva che ciò dipendesse dall’incorporazione di un componente 16O puro derivato da nucleosintesi stellare. La scoperta del frazionamento isotopico indipendente dalla massa per effetto di reazioni chimiche in fase gassosa cinetica ha costretto ad un riesame della questione con particolare riguardo alle reazioni in fase gassosa nella nebulosa primera e con susseguente incorporazione degli arricchimenti isotopici dell’ossigeno nei minerali solidi che si accumulano nella polvere nebulare. Questo settore di ricerca è ancora al suo principio, ma si evolverà rapidamente.
Nella geochimica della Terra solida la ricerca attualmente forse più stimolante riguarda la composizione del mantello inferiore, sotto la discontinuità sismica posta a 670 km di profondità. Trent’anni fa Brian Clarke ed io scoprimmo che, contrariamente a quanto allora si riteneva, l’interno della Terra si sta ancora degassando nell’atmosfera, com’è dimostrato dall’emissione di elio grandemente arricchito nell’isotopo primordiale 3He rispetto al molto più abbondante isotopo 4He che è prodotto dal decadimento dell’uranio e del tono nella Terra. Quest’emissione si ha lungo gli assi oceanici di espansione del fondo marino dove si forma nuova crosta oceanica, e rapporti 3He/4He molto elevati (circa trenta volte il rapporto atmosferico) si trovano nelle lave e nei gas vulcanici dei “punti caldi”, che demarcano i loci dove si formano le catene vulcaniche insulari oceaniche (come le Isole Hawai), nonché in certe massive eruzioni continentali (come nelle lave etiopiche della Depressione di Afar). I punti caldi stanno in cima ai siti di immensi “pennacchi” di convezione caldi, che sorgono verticalmente dai confini tra mantello e nucleo (questa è almeno l’opinione della maggioranza, ma ci sono anche persone che la pensano diversamente). Abbiamo trovato in giro per il globo sedici di questi “punti caldi con alto 3He”, e sembrano correlati alle indicazioni della tomografia sismica sulla presenza di correnti calde profonde provenienti dal nucleo della Terra. Dunque, nello studio dell’interno della Terra stiamo operando una sintesi di geochimica e geofisica. Resta da stabilire fino a che grado questi rapporti elevati isotopici dell’elio si correlano con la sistematica degli isotopi radiogenici (stronzio, neodimio e pìombo) che delineano gli effetti chimici e fisici responsabili della produzione della varietà di composizione delle rocce nel mantello superiore e inferiore e nella crosta terrestre.
Tutti i geochimici del mondo sono ora impegnati su questi e molti altri fondamentali problemi relativi alla nostra definitiva comprensione dei processi chimici, fisici e biologici che modellano la nostra Terra. È stato per me un grande privilegio aver preso parte a questi sforzi e condividere la stimolante crescita della geochimica, dell’oceanografia e della geofisica con tanti amici, studenti e colleghi.
Nel volgere lo sguardo indietro, agli inizi, e avanti, al futuro, sono profondamente grato alla Fondazione Balzan per aver riconosciuto i contributi da tutti noi dati al pieno sviluppo della geochimica.
Molti amici e colleghi che sono qui oggi conoscono Valerie Craig, e tutti quelli che la conoscono sanno che ha condiviso il mio lavoro sul terreno, in mare e in laboratorio. È stata una collaborazione meravigliosa, ed ella condivide con me in egual misura il riconoscimento che ci avete così generosamente assegnato.