Regno Unito
Premio Balzan 1989 per l'astrofisica delle alte energie
Discorso di ringraziamento – Berna, 17.11.1989
Signor Presidente,
Signore e Signori,
vorrei esprimere la mia gratitudine per avere ricevuto il Premio per l’«astrofisica delle alte energie», filone di ricerca che esisteva appena prima degli anni 60.
Gli ultimi decenni sono stati un periodo straordinario di scoperte cosmiche. Non solo il nostro sistema solare è stato esplorato con sonde spaziali, ma i raggi X, gli infrarossi e le radio- tecniche sono serviti a completare la conoscenza ottenuta con i telescopi ottici. Ci sono state molte sorprese. Lo spettacolo cosmico è più violento e complesso di quanto la maggior parte degli astronomi non immaginasse.
Sono stato fortunato ad iniziare la mia carriera di studioso al tempo dei primi risultati importanti e sostanziali che gli studiosi si sfidavano a interpretare. I veri eroi di queste avventure sono gli osservatori e gli sperimentatori. I teorici come me hanno spiegato piuttosto poco e previsto ancora meno.
Si possono osservare oggetti che sono talmente lontani che la loro luce ha impiegato bilioni di anni nel suo viaggio verso di noi. La nostra attuale conoscenza del cosmo è comunque incompleta e sperimentale. I primi cosmografi, quando disegnavano la Terra, popolavano i confini del mondo allora conosciuto di animali mitici. Allo stesso modo noi oggi abbiamo individuato nel cielo oggetti lontani e non possiamo essere certi che le nostre teorie siano adeguate a descriverli.
Il lavoro degli astrofisici delle alte energie si colloca tra quello dei fisici e quello degli astronomi. I fenomeni straordinari del cosmo – quasars, buchi neri e big bang – implicano più fisica avanzata delle stelle comuni. Le osservazioni astronomiche possono confermare o sviluppare le leggi della fisica classica, e forse scoprirne di nuove.
Non è sorprendente, in una materia in evoluzione e con scopi così ambiziosi, che tuttora si brancoli per capire. D’altra parte, ciò che è realmente sorprendente è che qualunque progresso è possibile. Come disse Einstein: “La cosa più incomprensibile dell’Universo è che esso è comprensibile”. E straordinario come qualunque legge stabilita in laboratorio – leggi che le nostre menti cercano in qualche modo di capire – debba governare gli atomi nei remoti quasars o nello stesso big bang.
L’Universo ha un disegno d’insieme più semplice di quello che noi ci immaginiamo; c’è una profonda interdipendenza tra il micromondo di particelle sub- nucleari e il cosmo nel suo complesso.
I progressi tecnici in questa materia sono dovuti alla comunità scientifica mondiale. Quando i progetti individuali diventano più ambiziosi, allora la collaborazione internazionale diventa essenziale.
Un argomento così apparentemente lontano dalle faccende comuni dovrebbe essere – almeno a mio parere – meno attraente se l’interesse non filtrasse aldilà degli specialisti. Mentre le pubblicazioni essenziali sono accessibili, non lo sono invece i dati tecnici. Un largo pubblico partecipa in qualità di vicario alla nostra esplorazione del cosmo; l’origine e il destino dell’Universo, e il nostro posto in esso, affascinano tutti quelli che hanno un interesse filosofico.
É un luogo comune, ma non per questo meno vero, che la prima visione dell’intera terra vista dallo spazio provocò un impatto psicologico sulla popolazione mondiale, e indusse a riflettere sulla fragile biosfera. L’astrofisica delle alte energie ci insegna ora a vedere l’intero cosmo come un’unità. Le leggi fisiche che governano la nostra vita di tutti i giorni furono “definite” nei primi istanti del big bang. Ogni atomo di ossigeno e di carbonio nei nostri corpi fu forgiato in qualche antico astro che esplose nella Via Lattea, prima che si formasse il nostro Sistema Solare.
Charles Darwin concluse la sua “Origine delle Specie” con queste parole famose: “Mentre questo pianeta si evolveva per cicli, secondo le leggi della gravità, da un inizio così primitivo si sono evoluti, e si stanno evolvendo, i sistemi più ….belli”.
Gli astrofisici tendono a far risalire le cose prima dell’”inizio primitivo” di Darwin per porre l’intero sistema solare in un contesto evoluzionistico, partendo proprio dai primi istanti della “sfera di fuoco” amorfa con la quale nacque il nostro intero Universo. Come esso si espanse e si raffreddò, miriadi di galassie si condensarono, ciascuna composta da uno sciame di bilioni di stelle. E su un pianeta intorno ad almeno una stella, si sono evolute delle creature capaci di meravigliarsi di tutto questo.
La nostra apparizione è avvenuta dopo bilioni di anni. Ma l’universo non ha ancora vissuto metà del suo ciclo e può avere addirittura un futuro infinito davanti a sé. E quindi presunzione considerare l’umanità il culmine dell’evoluzione. Anche se la Terra è ora una minuscola oasi in un cosmo inanimato, rispetto al tempo che resta da trascorrere, essa potrebbe “seminare” il prosieguo della vita nell’intera galassia e aldilà di essa. Soffocare ora la nostra biosfera sarebbe un vero disastro “cosmico” in termini di potenzialità che potrebbe precludere.
Sono debitore verso molti amici le cui linee universali si sono congiunte alle mie: Dennis Sciama, che accese il mio entusiasmo per l’astrofisica; i miei collaboratori scientifici specialmente Roger Blandford, Mitchell Begelman, Andrew Fabian e James Pringle; e i miei colleghi, specialmente Donald Lynden-Bell, che rendono Cambridge una così stimolante sede di lavoro.
Alla fine, mi sia concesso rinnovare i miei più sinceri ringraziamenti alla Fondazione Balzan per aver riconosciuto e incoraggiato i nostri sforzi per comprendere il nostro ambiente cosmico. Questo è un lavoro collegiale, una ricerca senza fine che è appena iniziata.